20. Tecnica, controllo, potenza

Un trattato sulla simbologia della ruota non sarebbe completo se non prendesse in considerazione le applicazioni tecniche sorte nel corso dei millenni.

Gli ingranaggi di controllo una chiusa sul fiume Säveån, in Svezia
Gli ingranaggi di controllo una chiusa sul fiume Säveån, in Svezia

A prima vista la tecnologia può sembrare del tutto priva di un proprio significato; vedremo però che l’uso pratico della ruota corrisponde in tutto e per tutto ai suoi presupposti simbolici, e addirittura che i vari sistemi di utilizzo della ruota hanno contribuito ad ampliarne il panorama simbolico con nuove sfumature di significato.
Abbiamo già accennato, ad esempio, alla ruota del carro: immagine solare, simbolo della potenza divina nel cielo, e di riflesso emblema del potere regale in terra. Il carro è prerogativa di dèi solari, e in seguito diviene il trono mobile della personificazione degli astri e di divinità uraniche. Lo ritroviamo nei Vimana dell’induismo, e come veicolo di Thor, il dio del fulmine della mitologia nordica. Petrarca, nei suoi trionfi, estese l’uso del carro anche a figure allegoriche quali Amore, Pudicizia, Morte, Fama, Tempo ed Eternità, creando un modello che ebbe un grande successo nell’arte del Rinascimento.
All’origine della scoperta tecnica c’è lo stesso simbolo che brilla nelle vicende divine. Così si esprime in merito Ernst Jünger:
“Siamo abituati a giudicare le grandi invenzioni basandoci sugli utili che esse ci fruttano. Riteniamo anche di poter valutare secondo questo punto di vista non solo la nostra epoca tecnica ma anche le sue origini, la sua genealogia, come se fin dall’inizio essa avesse voluto mettere a frutto la rendita che ricaviamo dalle forze della natura. Questo darwinismo dell’apparato tecnico è una delle nostre illusioni ottiche.
Gli antichi mostravano un ben più acuto discernimento quando consideravano i nostri grandi mezzi come doni liberamente elargiti da eroi, semidei o dèi. In ogni caso è certo che non possiamo trasporre i nostri scopi nelle condizioni delle origini. Il primo fuoco alimentato dall’uomo non servì sicuramente a cuocere arrosti, nè la prima ruota servì a muovere veicoli da carico. Con ogni probabilità i primi veicoli non erano neppure destinati a un uso così profano: lo testimoniano proprio i più antichi ritrovamenti. In natura non esiste alcun modello di ruota. È probabile che la sua forma primigenia sia stata concepita osservando il Sole o la Luna.” (Ernst Jünger, Il libro dell’orologio a polvere)
Il mito ci racconta che furono gli dèi ad insegnare agli uomini il segreto del carro.

Il re Erittonio, immagine dalle “Cronache di Norimberga” (1493)
Il re Erittonio, immagine dalle “Cronache di Norimberga” (1493)

Erittonio, re di Atene, era figlio di Efesto; fu Atena ad insegnargli il modo di aggiogare i cavalli al carro, a imitazione del carro solare. In memoria di ciò, Zeus portò Erittonio fra le stelle del firmamento, nella costellazione dell’Auriga.
Imitare gli dèi è un gioco pericoloso: pensate alla rovinosa fine di Fetonte, che nonostante ogni avvertimento volle guidare il carro del Sole, e finì per perderne il controllo. Chi riesce a domare questa energia simbolica ha però a sua disposizione un potere che trascende le mere capacità umane: è questa la forza, ed al tempo stesso il rischio, con cui la tecnica seduce l’essere umano.
Dalla sua invenzione, il carro è divenuto un moltiplicatore di forza in grado di rovesciare la sorte delle battaglie. È grazie al carro da guerra che gli Hyksos invasero l’Egitto nel XVI secolo a.C., ed ancor oggi il carro armato è una delle pedine più pericolose nella scacchiera dei conflitti armati.
La ruota ha sempre un lato luminoso ed uno d’ombra; la potenza che il carro conferisce all’uomo significa anche devastazione e morte.

Il trionfo della morte, di Maarten van Heemskerck (1565)
Il trionfo della morte, di Maarten van Heemskerck (1565)

Uno dei carri trionfali di Petrarca porta proprio la Morte: qui la ruota non è certo un simbolo solare, ma diviene un violento emblema di distruzione.

Dettaglio della ruota dal trionfo della morte, di Maarten van Heemskerck (1565)
Dettaglio della ruota dal trionfo della morte, di Maarten van Heemskerck (1565)

È sempre Jünger a descrivere questo processo con brevi e precise parole:
“L’Età del Bronzo fu probabilmente un’epoca in cui si imposero nuovi strumenti di potere e, contemporaneamente, si aprì una falla nell’antica libertà dell’uomo, nella sua primitiva signoria. L’epoca delle fiabe, la fanciullezza, è conclusa, ha inizio l’adolescenza dell’uomo. Achille sale sul carro da guerra.
Ha inizio la spoliazione delle terre selvagge.

La caccia ai leoni del re Ashurnasirpal II, bassorilievo conservato al British Museum (875-860 a.C.)
La caccia ai leoni del re Ashurnasirpal II, bassorilievo conservato al British Museum (875-860 a.C.)

I paradisi di caccia si spopolano. Vediamo il re di Assur uccidere i leoni, ritto sul suo carro di ferro. La scena si ripete molte volte, in successione sempre più rapida, per esempio quando vengono annientate le grandi mandrie di bufali, i cui pascoli erano tagliati dai binari della ferrovia. Qui avviene l’incontro tra la preistoria e la ruota. Di pari passo procede il disboscamento delle foreste, antico rifugio di libertà.” (Ernst Jünger, Il libro dell’orologio a polvere)

Henry J. Glintenkamp, Coscrizione - dalla rivista socialista statunitense The Masses (agosto 1917)
Henry J. Glintenkamp, Coscrizione – dalla rivista socialista statunitense The Masses (agosto 1917)

Con una precisa lucidità artistica, l’autore di questa commovente immagine di protesta ha accomunato la ruota del cannone con la ruota della tortura: è l’umanità stessa a pagare sulla sua pelle il prezzo della potenza tecnica.
Persino la moderna automobile può essere uno status symbol in grado di conferire una sensazione di potenza ed un prestigio sociale al suo possessore. Il potere dei metaforici cavalli del motore si moltiplica a dismisura, e tutti sanno come spesso questa forza tellurica si ribelli contro il pilota.
È degno di nota che per guidare l’automobile si usi il volante: per indirizzare la potenza delle ruote si usa un’altra ruota, in una peculiare identità formale fra energia e controllo.
La ruota come forma di controllo non è un’invenzione moderna: la si trova ad esempio nel timone, la cui ruota è in grado di cambiare o mantenere la rotta, e che in quanto tale simboleggia il comando stesso della nave.
La somiglianza fra la ruota del timone e la ruota del Dharma non è certo casuale. Nell’induismo, uno dei termini per indicare il sovrano universale è chakravartin, termine che si può tradurre come “colui le cui ruote girano”, alludendo sia il simbolismo regale del carro che quello religioso della ruota del Dharma.
Uno dei princìpi più utili della ruota è la possibilità di trasformare un movimento rotatorio in moto lineare, e viceversa. Una simile applicazione si trova nel mulino, che trasforma la corrente lineare dell’acqua nella forza che fa girare la macina. La ruota è un simbolo del mutamento, ed anche la macina rappresenta un processo trasformativo: spezza il grano, liberando la farina in esso contenuta.

8 Il Mulino mistico dalla Basilica di Santa Maddalena a Vèzelay, Francia (XII sec.)

In questa scultura su un capitello di una basilica romana francese troviamo proprio quest’accezione positiva del mutamento. Sulla sinistra si vede Mosè, simbolo del Vecchio Testamento; il grano che egli versa nella macine è la vecchia Legge, trasformata dal mulino della predicazione del Cristo; a destra, san Paolo raccoglie la Buona Novella del Vangelo .

Immagine da “Emblemata, cum aliquota nummis antiqui operis Ioannis Sambuci Tirnaviensis Pannonii” di Johannes Sambucus (1564)
Immagine da “Emblemata, cum aliquota nummis antiqui operis Ioannis Sambuci Tirnaviensis Pannonii” di Johannes Sambucus (1564)

La macina però è anche una ruota che schiaccia e rende in polvere, e in questo senso la si può intendere anche come l’aspetto distruttivo del tempo. A contraltare del “mulino mistico” esiste inoltre anche un mulino del diavolo, in cui ad esser macinate sono le anime dei dannati.
La macina è inoltre legata alla simbologia dell’annegamento. Nel vangelo, ad esempio, Cristo minaccia: “Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare.” (Vangelo secondo Marco, 9:42)

Miniatura dall’Apocalisse di Bamberga (XI sec.)
Miniatura dall’Apocalisse di Bamberga (XI sec.)

Lo stesso simbolo viene ripreso ed amplificato nell’Apocalisse: “Un angelo possente prese allora una pietra grande come una mola, e la gettò nel mare esclamando: «Con la stessa violenza sarà precipitata Babilonia, la grande città e più non riapparirà.»” (Apocalisse, 18:21)
Anche molti martiri cristiani, fra cui sant’Anastasio e san Floriano, trovarono la morte venendo gettati in acqua con una macina da mulino legata al collo.
Ben più vicina alla simbologia della vita è invece la ruota del vasaio. L’argilla viene messa a girare sulla ruota, e le sapienti mani del maestro la plasmano fino a mutarla in un bel vaso. La ruota in questo caso simboleggia il divenire nel suo aspetto più creativo, al punto da divenire un simbolo cosmogonico.

Il dio Khnum, disegno tratto da un rilievo del Tempio di Luxor, Egitto (XVIII Dinastia)
Il dio Khnum, disegno tratto da un rilievo del Tempio di Luxor, Egitto (XVIII Dinastia)

Nell’antico Egitto il dio Khnum veniva rappresentato nell’atto di plasmare l’essere umano utilizzando proprio una ruota da vasaio. Anche il Dio biblico usa l’argilla come materia prima per creare il primo uomo, e in molti passi dell’Antico Testamento riecheggia l’immagine di un demiurgo vasaio:
“Potrà forse discutere con chi lo ha plasmato un vaso fra altri vasi di argilla? Dirà forse la creta al vasaio: «Che fai?» oppure: «La tua opera non ha manichi»? Chi oserà dire a un padre: «Che cosa generi?» o a una donna: «Che cosa partorisci?».
Dice il Signore, il Santo di Israele, che lo ha plasmato: «Volete interrogarmi sul futuro dei miei figli e darmi ordini sul lavoro delle mie mani? Io ho fatto la terra e su di essa ho creato l`uomo; io con le mani ho disteso i cieli e do ordini a tutte le
loro schiere.»” (Isaia, 45:9-12)
La ruota ritorna con forza nella scena della tecnologia moderna con la crescente diffusione della ruota dentata, elemento base degli ingranaggi delle macchine.

Miniatura da “Le livre des échecs amoureux moralisés” di Evrart de Conty (XV sec.)
Miniatura da “Le livre des échecs amoureux moralisés” di Evrart de Conty (XV sec.)

Il meccanismo incarna l’idea di precisione univoca: ruote, leve e cinghie di trasmissione sono la manifestazione concreta del determinismo proprio di algoritmi ed equazioni matematiche.
Una simile concezione è uno dei fondamenti dell’Illuminismo: nulla è più lasciato al caso, ed il cosmo è regolato da leggi ferree ed esatte, che si possono conoscere tramite la scienza e prevedere tramite il calcolo. L’intero universo, in quest’ottica, è considerato alla stregua di una enorme macchina meccanica.
Il prezzo da pagare per questa precisione è il venir meno della libertà dell’uomo: il rigido determinismo non lascia spazio al libero arbitrio. Persino Dio venne limitato dal rigore di una simile filosofia: in un cosmo regolato da leggi meccaniche ed immutabili non c’è più bisogno di alcun intervento divino. Secondo una concezione tipicamente illuminista, Dio fabbricò il mondo come un abilissimo orologiaio; dopo la creazione iniziale questa meravigliosa macchina è però perfettamente in grado di funzionare da sola, senza bisogno di manutenzioni esterne, rendendo di fatto superfluo ogni intromissione soprannaturale.
La manifestazione più concreta di queste idee avvenne nella rivoluzione industriale, che anche grazie al principio della ruota riuscì a coniugare la potenza del vapore alla precisione del processo meccanico.

“Anche la donna vuole vincere la guerra, aiutiamola” – manifesto spagnolo (1937)
“Anche la donna vuole vincere la guerra, aiutiamola” – manifesto spagnolo (1937)

Il lavoro divenne una forza autonoma, un nuovo potente simbolo capace di muovere le masse e plasmare la politica internazionale. La ruota dentata è l’emblema di questo nuovo vento: dal XVIII secolo in poi la si trova sempre più frequentemente sugli stemmi dell’araldica civica e sugli stendardi dei partiti politici, nei loghi delle associazioni e persino sulle bandiere degli stati.

Emblema della Repubblica Italiana (1948)
Emblema della Repubblica Italiana (1948)

La potenza del lavoro meccanico e l’aumento della capacità di produzione comportò però un asservimento dell’uomo nei confronti dell’industria. Già William Blake seppe individuare l’aspetto demoniaco dell’industria, che egli descrisse come “oscuri mulini satanici” : le ruote dei macchinari industriali come una nuova forma del simbolo del mulino del diavolo.
Le ruote degli ingranaggi hanno i denti, e sempre più spesso le macchine saziarono la loro fame divorando le dita o le braccia degli operai, masticandone persino il corpo intero.
La ruota poi è inevitabilmente collegata al tempo; l’elevata velocità delle ruote degli ingranaggi industriali si trasferì così allo stile di vita dei lavoratori, trasformando il giorno in un ciclo produttivo logorante, forse sostenibile per una macchina ma certamente non per l’essere umano.
Il segno più chiaro di questo nuovo tempo è l’orologio meccanico: a regolare la vita dell’uomo moderno non è più il corso del Sole, ma la frenetica corsa delle lancette sul quadrante.

Il celebre quadrante dell’orologio del Big Ben di Londra (XIX sec.)
Il celebre quadrante dell’orologio del Big Ben di Londra (XIX sec.)

La penetrante visione di Jünger scorge nell’orologio ad ingranaggi un simbolo del progresso, al punto che la sua scoperta diviene un evento di portata quasi metafisica: “L’embrione del progresso va ricercato nella stessa epoca in cui un monaco sconosciuto inventò l’orologio a ingranaggi. Fu una delle grandi invenzioni, più rivoluzionaria della polvere da sparo, della stampa e della macchina a vapore, più gravida di conseguenze della scoperta dell’America. È un segno esteriore di decisioni, di cui tuttora subiamo l’influenza, che spiriti solitari dovettero prendere nelle loro celle intorno all’anno mille, un segno che nuove vie venivano risolutamente aperte. Lì si intravide il nuovo mondo. Al confronto, perfino scopritori come Colombo e Copernico non furono che semplici esecutori. La via è segnata e con essa sono state stabilite tutte le mete che, una dopo l’altra, verranno raggiunte.” (Ernst Jünger, Il libro dell’orologio a polvere)
Rispetto ai grandi orologi meccanici dei secoli scorsi, la comparsa della lancetta dei secondi è un sintomo eloquente della continua accelerazione a cui siamo soggetti.

Gli ingranaggi di un orologio da tasca

Il ticchettio dell’orologio sarebbe quasi simile al battito di un cuore ansioso, se non fosse per la sua precisione meccanica, inflessibile, che lo trasforma in un ritmo asettico ed innaturale.

 

19. La ruota infernale

L’uomo naturale è del tutto soggetto alla legge dell’eterno divenire. L’essere umano, in un certo senso, è inchiodato sulla ruota: un patibolo simile ad una crocifissione circolare.

Immagine dal frontespizio del trattato da “Utriusque Cosmi, maiores scilicet et minores, metaphysica, physica atque technica Historia” di Robert Fludd (1617)
Immagine dal frontespizio del trattato da “Utriusque Cosmi, maiores scilicet et minores, metaphysica, physica atque technica Historia” di Robert Fludd (1617)

L’Uomo è rappresentato come il microcosmo, l’universo in miniatura a cui corrisponde il macrocosmo esterno. Le due sfere sono interconnesse, proprio come le due ruote della visione di Ezechiele, e la rotazione che il tempo imprime sul macrocosmo si trasmette anche sull’Uomo.

Dettaglio dal frontespizio del trattato da “Utriusque Cosmi, maiores scilicet et minores, metaphysica, physica atque technica Historia” di Robert Fludd (1617)
Dettaglio dal frontespizio del trattato da “Utriusque Cosmi, maiores scilicet et minores, metaphysica, physica atque technica Historia” di Robert Fludd (1617)

A girare la ruota è una personificazione del tempo stesso: ali e zoccoli lo rendono notevolmente simile all’Aion-Phanes della tarda antichità. La ruota è mossa dalla corda, che si srotola man mano che la ruota gira: con questo brillante espediente vengono conciliate la visione ciclica e quella lineare del tempo.
La figura ci ricorda un’altra immagine, ben più prosaica ma non meno metaforica: il lanciatore di coltelli del mondo circense, che lancia i suoi pugnali ad una donna legata ad una ruota che gira.
Il significato, in un certo senso, è lo stesso: la grande ruota ci stringe in suo potere, ci fa girare e ci ribalta a suo piacimento, e noi siamo legati ad essa, come un prigioniero ai ceppi, inermi di fronte ai colpi del destino.
In questo simbolo si concentrano tutti gli aspetti negativi della ruota, di cui l’intero cosmo patisce gli effetti; ma è l’umanità a soffrirli più duramente, perchè è dotata dell’amara capacità di rendersi conto del proprio stato, ed al contempo di sognare una libertà che trascenda le rivoluzioni del fato.

Immagine da “Trattato degli instrumenti di martiro e delle varie maniere di martoriare usate da’ gentili contro christiani, descritti et intagliate in rame; opera di Antonio Gallonio” (1591)
Immagine da “Trattato degli instrumenti di martiro e delle varie maniere di martoriare usate da’ gentili contro christiani, descritti et intagliate in rame; opera di Antonio Gallonio” (1591)

Non deve stupirci, dunque, che la ruota divenne effettivamente uno strumento di tortura, tanto diffuso quanto temuto. Il corpo del condannato veniva legato ad una grande ruota, con le gambe e le braccia infilate fra i raggi; la rotazione spezzava così gli arti del malcapitato, e i colpi del boia finivano il lavoro.
L’umanità ha un particolare ingegno per trovar modi di torturare sè stessa, ed anche il supplizio della ruota conosce diverse varianti.

Immagine da “Trattato degli instrumenti di martiro e delle varie maniere di martoriare usate da’ gentili contro christiani, descritti et intagliate in rame; opera di Antonio Gallonio” (1591)
Immagine da “Trattato degli instrumenti di martiro e delle varie maniere di martoriare usate da’ gentili contro christiani, descritti et intagliate in rame; opera di Antonio Gallonio” (1591)

Il significato centrale rimane però sempre lo stesso: la devastante e crudele forza del tempo, il lato distruttivo del cambiamento in tutta la sua inarrestabile violenza. Lame e spuntoni mordono la carne dei torturati, proprio come i denti del tempo che divorano senza pietà la bellezza e la forza fisica. Il fuoco in cui lo sventurato viene fatto girare è un doloroso simbolo del potere trasformativo del tempo; nei casi in cui la ruota si immerge in una vasca d’acqua possiamo intravvedere in questa un’allegoria della morte, non a caso posta nel punto più basso della circonferenza.
L’immagine della ruota di tortura sopravvive nell’immaginario collettivo grazie ad una celebre scena, ripetuta in centinaia di film, telefilm e fumetti: la vittima è legata ad un tronco, e si avvicina inesorabilmente ad una grossa sega a disco

Audrey Hepburn nella ricostruzione di una scena del telefilm Perils of Pauline (1947)
Audrey Hepburn nella ricostruzione di una scena del telefilm Perils of Pauline (1947)

Anche in questo caso, il fattore principale è il tempo, come se la ruota della sega stesse velocemente consumando gli ultimi minuti di vita del protagonista.
La ruota della tortura ha una storia antica, e le sue radici si immergono fino alla mitologia.
Esemplare è la storia di Issione, re dei Lapiti: cercò di circuire la dea Era, attirando su di sè l’ira di Zeus. Il re dell’Olimpo lo consegnò ad Ermes, che punì Issione legandolo ad una ruota infuocata, che gira nel cielo per l’eternità.

Gli antichi sepolcri, overo, Mausolei Romani, et Etruschi, troua

La natura solare della ruota infuocata di Issione è evidente; in questo mito non c’è però più alcuna traccia della luminosa benedizione del giorno, e la ruota infuocata diventa uno spaventoso castigo senza fine.
Incontriamo un’analoga demonizzazione di un simbolo solare nella pena eterna di Sisifo. Per punire la sua audacia nei confronti degli dèi, Zeus condannò Sisifo a spingere un masso fino alla sommità di un monte. Ogni volta che Sisifo raggiungeva la cima, il masso rotolava nuovamente giù, rendendo il suo tormento tanto faticoso quanto vano.

La pena di Sisifo, dal libro d’emblemi “Choice emblems, divine and moral, antient and modern” di R. B. (1732)
La pena di Sisifo, dal libro d’emblemi “Choice emblems, divine and moral, antient and modern” di R. B. (1732)

È notevole la somiglianza con il simbolo solare egizio dello scarabeo sacro, che spinge la palla di sterco proprio come Sisifo spinge il masso. La salita della pietra di Sisifo ricorda inoltre la traiettoria che porta il Sole dall’oriente al mezzogiorno, e la caduta del masso corrisponde dunque al tramonto. Anche in questo caso, il simbolo sacro e significativo dello scarabeo solare diviene una parodia infernale, un atto privo di ogni senso ripetuto ciclicamente, senza via di scampo.
Anche nelle raffigurazioni dell’inferno cristiano il supplizio della ruota compare con una certa regolarità fra le diverse torture eterne dei peccatori.

La ruota infernale, miniatura dal Messale romano di Giovanni di Foix (1492)
La ruota infernale, miniatura dal Messale romano di Giovanni di Foix (1492)

In questo caso il cerchio della ruota stessa è formato dai corpi dei dannati, ed il diavolo ne costituisce i raggi; non potrebbe esserci simbolo più chiaro del lato diabolico ed infernale della ruota.
L’aspetto demoniaco della ruota si incontra anche nel folclore giapponese.

Wanyūdō, illustrazione dal libro “Konjaku zoku hyakki” di Sekien Toriyama (1779)
Wanyūdō, illustrazione dal libro “Konjaku zoku hyakki” di Sekien Toriyama (1779)

Il Wanyūdō, ad esempio, è uno spettro che compare in molte fiabe del Sol Levante.
Appare come una ruota infuocata, al cui centro compare una testa rasata al modo dei monaci buddhisti. La sua comparsa è foriera di morte e di maledizioni, e anche soltanto vederlo può essere pericoloso.

Katawaguruma, illustrazione dal libro “Konjaku zoku hyakki” di Sekien Toriyama (1779)
Katawaguruma, illustrazione dal libro “Konjaku zoku hyakki” di Sekien Toriyama (1779)

Uno spettro molto simile è il Katawaguruma, che compare con le sembianze di una donna nuda seduta sopra una ruota in fiamme.
Il supplizio della ruota compare anche nell’agiografia cristiana; più di un martire fu torturato con essa, ma fra tutti è ricordata santa Caterina d’Alessandria, al punto che la ruota è uno degli attributi principali nell’iconografia della santa.

11 caravaggio santa caterina

Così la tradizione ricorda il celebre episodio della tortura di santa Caterina:
“Allora il prefetto consigliò l’imperatore furente di far preparare quattro ruote fornite di punte acuminate che straziassero la carne di Caterina incutendo così il timore negli altri cristiani. Si decise che di queste quattro ruote due sarebbero state spinte in un senso e due nell’altro, di modo che le membra della fanciulla si spezzassero. Ma la vergine pregò Iddio che a sua gloria e per il bene spirituale degli astanti distruggesse questa macchina: ed ecco che un angelo del Signore colpì le immense ruote con tanto impeto che i pezzi schiacciarono sotto il loro peso quattromila pagani.” (Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine)
L’imperatore comandò allora che Caterina venisse decapitata, e nonostante l’intervento divino la santa morì lo stesso. Il miracolo non cerca di preservare il corpo terreno della ragazza, ma è un simbolo che allude ad una salvezza più sottile. Spezzare la ruota rappresenta infatti il trionfo sopra la logorante ciclicità del tempo: è la promessa di un’Eternità oltre il Tempo, la nuova Gerusalemme celeste a cui accenna l’Apocalisse di Giovanni:
non ci sarà più la morte,
né lutto, né lamento, né affanno,
perché le cose di prima sono passate.(Apocalisse, 21:4)

Miniatura da un libro d’ore all’uso romano (XV sec.)
Miniatura da un libro d’ore all’uso romano (XV sec.)

 

18. Vanitas

Camminare in cerchio significa di fatto essersi perduti: si continua ad avanzare, ma non si arriva da nessuna parte, si torna sempre allo stesso punto senza mai raggiungere la meta. Ciò introduce un altro importante componente simbolico della ruota: il senso di inutilità, una continuazione senza via di fuga di un ciclo che non porta mai oltre.

Vincent van Gogh, La ronda dei carcerati (1890)
Vincent van Gogh, La ronda dei carcerati (1890)

Vedo masse di gente camminare in cerchio” , scrisse il poeta T. S. Eliot nel suo capolavoro La terra Desolata; potrebbe essere una perfetta didascalia al quadro di Van Gogh, ma anche un’icastica descrizione della società contemporanea. Non si danza più attorno al vuoto, ma si cammina mesti, una circumambulazione rituale attorno ad un centro vuoto, un sacramento a glorificare il Nulla, tremendo reggente della nostra epoca.
Le giornate tutte uguali, la routine che si ripete incessantemente senza alcuna prospettiva di miglioramento, gli anni che si accavallano senza costruire nulla, ma gravando solamente col loro peso sulle spalle sempre più stanche: è la condanna di una società che ha dimenticato il proprio centro.

Non è un caso che il labirinto, in origine, sia stato il simbolo di una ricerca iniziatica verso il fulcro della ruota, mentre ora è visto come una disorientante prigione da cui cercare affannosamente un’uscita.

Immagine dai “Paradoxa Emblemata” di Dionysius Andreas Freher (XVIII sec.) “Non si arriva all’Uno con un salto, e non vi si arriva senza girargli attorno”
Immagine dai “Paradoxa Emblemata” di Dionysius Andreas Freher (XVIII sec.) “Non si arriva all’Uno con un salto, e non vi si arriva senza girargli attorno”

Una delle fantasiose avventure tramandate su Alessandro Magno è ambientata in un simile labirinto circolare.  (Alexandre de Bernay, Roman d’Alexandre, Branche III, 148-162 – 1190) 
Sale su una collina, discende per una valle. Era una splendida pianura, verde per l’erba, mai nessuno ne vide una più bella. La montagna era alta e la valle chiusa in cerchio, non trovano una strada, che non c’è. Anche il più saggio, guardandosi intorno, non riuscirebbe a trovare da dove erano entrati. Cavalcano di slancio, senza tregua, girano tutto il giorno, per fermarsi solo all’ora nona, quando scende il Sole: e trovano le tracce dei loro passi. Anche Alessandro si meraviglia per tutto quell’andare inutilmente, contrariato, piega la testa e sospira.
Alessandro si dispera, e parla così al suo esercito: “Qui valore non serve, nè lancia, nè scudo, anche il miglior destriero dalla lunga criniera non sarebbe più veloce di un fiacco ronzino. Le montagne sono alte e aguzze le cime, la terra è così bassa che siamo perduti. Per quello che ne so, per quello che ho visto, non ne uscirebbe un uccello, volando. Abbiamo perso l’entrata che avevamo preso, gli dèi ci vogliono male, siamo finiti, nè un giovane nè un vecchio uscirà mai di qui.
Alessandro esplora la valle, finchè trova una lapide che spiega che nessuno può uscire dal cerchio, a meno che un uomo del gruppo si sacrifichi decidendo di restarvi per sempre. È il re stesso a decidere di sacrificarsi. Rimasto da solo, Alessandro esplora nuovamente la valle, finchè si imbatte in una grotta al cui interno si trova un demone, schiacciato da una pesante pietra. Il demone promette al re di insegnargli la via di fuga dalla valle circolare; in cambio Alessandro dovrà liberarlo dal peso che lo imprigiona. Nonostante un primo inganno, il diavolo mantiene la promessa, ed anche il condottiero tiene fede alla parola data, rovesciando la pietra e liberandolo.
È notevole come anche in questo caso ricorra l’accostamento fra cammino circolare e prigionia, e fra liberazione ed uscita dal cerchio.
Nel film Disney “Alice nel paese delle meraviglie” (1951) c’è un’interessante scena che elabora ulteriormente un capitolo del libro. Alice è appena uscita nel mare creato dalle sue lacrime, e incontra un gruppo di animali che cercano di asciugarsi correndo in cerchio. Al centro c’è un dodo, che non a caso è un animale estinto, che incita gli altri a correre con una canzone dalle strofe molto esplicite:
Mara-maratonda testa in basso gambe in su..
Non c’è stato inizio e non ci fermeremo più
Di correr, di saltar, calciar di qua e di là
Cominciò domani l’altro ieri finirà.
Gira gira in tondo, c’è più gusto e sai perché?
Non c’è mai nessuno che stia avanti o che stia indietro.

Alice nel paese delle meraviglie, film Disney del 1951
Alice nel paese delle meraviglie, film Disney del 1951

Alice si unisce alla corsa; l’ironia della scena è accentuata dalle forti ondate di marea, che sommergono i corridori non appena iniziano ad asciugarsi un po’.
Come la stessa Alice esclama, «Nessuno può mai asciugarsi in questo modo!». Il dodo controbatte: «Ma se io sono già più secco di uno stoccafisso!»; lui infatti è l’unico a rimanere asciutto, perchè occupa il centro della danza: sta in cima ad uno scoglio, al riparo dalle ondate, vicino ad un fuocherello acceso, simbolo solare che non a caso serve da asse rotazionale.
Le parole della canzone rendono esplicito che la corsa in cerchio è un’allegoria del tempo, quella ruota dell’esistenza che è sempre esistita e sempre esisterà. La marea è l’alternanza insita nel divenire: giorno e notte, gioia e dolore, vita e morte (non dimentichiamo che l’acqua di questo mare è composta da lacrime). Finchè si rimane nella ruota del tempo è impossibile asciugarsi, ovvero affrancarsi dalla legge del mutamento; l’unico punto immobile della ruota è infatti il centro. Alice infine sceglie l’altra possibile via di fuga, ovvero abbandonare la ruota inseguendo il coniglio bianco da cui ha avuto inizio la sua avventura.
Torniamo ora alla ruota del mosaico di Pompei. L’immagine è un condensato in cui al simbolismo della ruota della fortuna si somma quello della Vanitas.

1 mosaico romano pompei - museo di napoli

A sinistra c’è un sontuoso mantello, mentre a destra uno straccio consunto ed una povera bisaccia. La ruota della fortuna può portare da uno all’altro stato; il fato elargisce in egual misura doni e disgrazie, tant’è che la squadra che fa da bilancia rimane in perfetto equilibrio, come evidenziato dal filo a piombo ad essa appeso. Il vero protagonista della composizione, tuttavia, è il teschio: un memento mori che ci ricorda la fine comune ad ogni uomo, povero o ricco che sia. Ricchezza e povertà si inseguono correndo in cerchio, ma quando il ballo finisce i frutti della fatica sfumano nel nulla: “Ruota di carro il sentimento dello stolto, il suo ragionamento è come l`asse che gira.” (Siracide, 33:5)
Solamente la farfalla, simbolo dell’anima immortale, può levarsi in volo ed uscire dalla grande ruota.

 

17. Capogiro

Non c’è bambino che non conosca la filastrocca del girotondo. I bimbi si tengono per mano formando un cerchio, e girano attorno cantando:
Giro giro tondo
Casca il mondo
Casca la terra
Tutti giù per terra!

Hans Thoma, Kinderreigen (1884)
Hans Thoma, Kinderreigen (1884)

Al termine della strofa la danza si ferma ed i bimbi si gettano a terra. Quello che sembra un semplice gioco acquista un significato del tutto particolare se lo si esamina alla luce del simbolismo della ruota: la danza in cerchio è la vita, e in senso cosmico l’esistenza stessa; la sua fine è dunque la morte, se non addirittura il disfacimento dell’intero cosmo.
Ovviamente questa non è che una delle possibili interpretazioni del gioco: ciò non implica che il senso originario sia proprio questo, nè tantomeno che simili pensieri passino per la testa dei bimbi mentre fanno il girotondo.
La caduta finale compare anche nella versione inglese del girotondo:

Ring-a-ring o’ roses,
A pocket full of posies,
A-tishoo! A-tishoo!
We all fall down.

Un cerchio di rose
Un sacchetto pieno di fiori
Etciù, etciù!
Cadiamo tutti a terra

L. Leslie Brooke, illustrazione dal libro “Ring o’ roses: a nursery rhyme picture book” (1922)
L. Leslie Brooke, illustrazione dal libro “Ring o’ roses: a nursery rhyme picture book” (1922)

Un’interpretazione popolare di questa filastrocca riconduce le parole della filastrocca alle grandi epidemie di peste del passato: l’anello rosso indicherebbe i segni sulla pelle degli ammalati, e il sacchetto di fiori il rimedio di fortuna per evitare i miasmi del contagio. Benchè gli studiosi siano concordi nel ritenere tale interpretazione priva di fondamento storico, essa è tutt’ora diffusa e creduta; ciò dimostra la vitalità dell’associazione simbolica fra la morte e la caduta al termine della danza.
Un simile simbolismo si esprime in un altro gioco per bambini, la trottola: finchè gira essa rimane in piedi, ma quando inizia a rallentare tentenna sempre più vistosamente, fino a cadere.
Il ballo in cerchio esprime la gioia di vivere. Si vorrebbe che il ballo non finisse mai, ma se si volteggia troppo si rischia un capogiro, una vertigine simile alla nausea, e chi non si ferma in tempo finisce a terra.
Vediamo qui nuovamente i due lati opposti della ruota: il cambiamento è sia energia vitale che inevitabile morte. Anche la circumambulazione mostra il suo aspetto distruttivo in un celebre episodio biblico: “Ora Gèrico era saldamente sbarrata dinanzi agli Israeliti; nessuno usciva e nessuno entrava. Disse il Signore a Giosuè: «Vedi, io ti metto in mano Gèrico e il suo re. Voi tutti prodi guerrieri, tutti atti alla guerra, girerete intorno alla città, facendo il circuito della città una volta. Così farete per sei giorni. Sette sacerdoti porteranno sette trombe di corno d’ariete davanti all’arca; il settimo giorno poi girerete intorno alla città per sette volte e i sacerdoti suoneranno le trombe. Quando si suonerà il corno dell’ariete, appena voi sentirete il suono della tromba, tutto il popolo proromperà in un grande grido di guerra, allora le mura della città crolleranno e il popolo entrerà, ciascuno diritto davanti a sé.»(Giosuè, 6:1-5)
Come per la trottola ed il girotondo, al termine della rotazione corrisponde la caduta.

 

16. La danza attorno al fuoco

I pianeti del sistema solare girano continuamente attorno al Sole.

Remedios Varo, Naturaleza muerta resucitando (1963)
Remedios Varo, Naturaleza muerta resucitando (1963)

La loro orbita è ellittica, ed il periodo orbitale è diverso per ciascuno, dal velocissimo Mercurio fino al più lento Nettuno; non è difficile, tuttavia, immaginare questi percorsi circolari come fili che si intrecciano in un’unica grande danza, un eterno ballo attorno al Sole. Anche la visione geocentrica, seppur connessa ad un punto di vista del tutto relativo, offre lo spettacolo di un’enorme ruota cosmica che gira attorno all’asse terrestre.
La ruota del cielo lascia la sua impronta nella terra, e la simbologia di questa danza cosmica sembra essere la trama su cui sono state intessute le tradizioni ed i riti di moltissimi popoli. Si possono contare innumerevoli usanze incentrate sul danzare in cerchio attorno ad un centro, perlopiù un punto luminoso come il fuoco, o un simbolo sacro che rappresenta l’Asse del Mondo. Vista la diffusione di tali usanze, vasta quanto l’umanità stessa, viene spontaneo supporre che simili espressioni siano connaturate al pensiero umano, come se il modello della ruota cosmica sia alla base della natura stessa dell’uomo. Vedremo alcuni esempi, sottolineando i tratti comuni ma valorizzando anche le singole particolarità di ciascuno.
In molti paesi d’Europa è tutt’ora viva la tradizione di festeggiare il risveglio della primavera innalzando un “palo del maggio”, decorato da rami e fiori, per simboleggiare il risveglio della fertilità naturale. C’è chi vede il palo come un emblema di virilità maschile, e chi invece lo interpreta come un’immagine dell’Axis Mundi, forse persino un residuo di antiche concezioni religiose che vedono nell’albero un simbolo dell’interconnessione fra i mondi, come l’Yggdrasil nordico. Queste interpretazioni non sono per forza mutuamente esclusive, ma possono essere considerate visioni parziali, semplificazioni della grande complessità insita in ogni simbolo.
Attorno al palo del maggio si svolge una danza circolare, gioiosa e colorata.

La danza intorno al palo del maggio, Inghilterra (1915)
La danza intorno al palo del maggio, Inghilterra (1915)

Molte varianti della tradizione sfruttano nastri colorati legati alla cima del palo, che ogni danzatore stringe nella mano, avvolgendoli così attorno al palo nel corso della danza in cerchio.
La fune avvolta al palo è l’elemento centrale della danza dei voladores, un antico rito mesoamericano tutt’ora in uso in alcune parti del Messico.

La danza dei voladores a Papantla (Messico)
La danza dei voladores a Papantla (Messico)

Viene eretto un alto e robusto tronco, appositamente decorato e spogliato dei rami; attorno alla sua cima vengono avvolte a spirale quattro funi. Cinque uomini salgono fino alla cima del palo; uno di loro rimane a suonare sulla sommità, mentre gli altri quattro si lanciano nel vuoto, girando attorno al palo e tracciando nell’aria una spirale sempre più ampia man mano che la corda si srotola. Anche questo rituale è legato all’inizio della primavera e alla fertilità della natura, ed in particolare al dio azteco Xipe-Totec, legato all’agricoltura ed alla fecondità della terra.
Un’altra diffusa tradizione europea legata ai cicli stagionali ricorre nella notte di san Giovanni: nella notte della vigilia del 24 giugno si accendono grandi falò, accompagnati da musiche e feste.

Falò rituali per la festa di Ivan Kupala, la variante ucraina della notte di San Giovanni
Falò rituali per la festa di Ivan Kupala, la variante ucraina della notte di San Giovanni

L’usanza rimanda alle radici precristiane delle popolazioni rurale europee, ed è soltanto in seguito che essa è stata associata a Giovanni il Battista. La danza circolare, in questi casi, si svolge non attorno ad un asse, ma attorno al fuoco; i due in un certo senso sono sinonimi, due diverse manifestazioni dello stesso simbolo del centro. Mentre il palo del maggio segna il difficile passaggio fra l’inverno e la stagione della fertilità, qui l’accento è posto fra l’analoga transizione dall’oscurità alla luce, coincidente con il solstizio d’estate.
La ruota è il simbolo del divenire; qui, in particolare, è messo in primo piano il cambiamento positivo, dal freddo al tepore, dalla povertà all’abbondanza. La ruota è in fase ascendente, e dona i suoi frutti; non a un caso sul tradizionale palo della cuccagna i premi sono spesso appesi su una ruota.

Immagine da una cartolina di auguri natalizi inglese (1918)
Immagine da una cartolina di auguri natalizi inglese (1918)

Anche l’inverno ha il suo palo dell’abbondanza, l’albero di Natale festosamente decorato e ricco di doni. Qui il simbolismo dell’abbondanza ha un ruolo speculare: se in primavera segna l’arrivo della fertilità, nel culmine dell’inverno esso serve a scongiurare la fredda oscurità, e a ricordarci che la ruota dell’anno tornerà a riportare la bella stagione. Anche in questo caso è diffusa l’usanza di danzare attorno all’albero di Natale, particolarmente fra i bambini della famiglia.
L’aspetto cosmico della danza circolare è particolarmente evidente quando essa ricorre in determinati momenti della ruota dell’anno, quali solstizi ed equinozi. Questo aspetto, tuttavia, non è l’unico ingrediente del simbolo della danza. Il ballo in cerchio esprime la gioia della vita, un modo di accettare la ruota dell’esistenza con allegria e festosità.

Pitture rupestri di Escalante, Utah (cultura di Fremont)
Pitture rupestri di Escalante, Utah (cultura di Fremont)

In questa accezione il ballo in cerchio si incontra anche in tutte le occasioni di celebrazione, ed in particolare quelle legate ai momenti più allegri del ciclo della vita, come fidanzamenti e matrimoni. Il ballo circolare costituisce quindi una sorta di festoso rito laico. Le sue origini sono antichissime; se ne trovano le tracce nei petroglifi di molte culture passate, e nelle antiche statuine, da Micene ai popoli precolombiani.

Danza di donne attorno ad un suonatore di lira, terracotta minoica, Museo archeologico di Candia (ca. 1300 a.C.)
Danza di donne attorno ad un suonatore di lira, terracotta minoica, Museo archeologico di Candia (ca. 1300 a.C.)

Moltissimi popoli conservano tutt’ora una propria variante di questo antico ballo: fra gli altri ricorderemo il kolo dei balcani, il sirtaki greco, la sardana spagnola e la dabka medorientale.
Il rito della danza circolare serve anche a rinsaldare i legami fra le persone: oltre al contatto fisico si sottolinea l’uguaglianza dei membri del gruppo, poichè nel cerchio non c’è un primo ed un ultimo, ma ogni posto equivale all’altro.

Doppio canone composto in onore di Enrico VIII (1516)
Doppio canone composto in onore di Enrico VIII (1516)

Il movimento rotatorio è la base anche di molti balli a coppia. In questo caso il perno della rotazione è il proprio compagno di ballo; si realizza così una magnifica metafora dell’amore e del corteggiamento.

Illustrazione di un fuoco d’artificio originale, tratto da “Büchsenmeister und Feuerwerksbuch” (1594)
Illustrazione di un fuoco d’artificio originale, tratto da “Büchsenmeister und Feuerwerksbuch” (1594)

La gioia del ballo non è per forza soltanto erotica; l’allegria della ruota è espressa ad esempio anche nella giostra, gioco altamente simbolico che riprende il simbolo della rotazione attorno al centro.
La danza in cerchio si esprime anche nella sfera del sacro, con molte manifestazioni diverse, sia nei riti che nell’arte sacra.

Giovanni di Paolo, Cinque Angeli Danzanti (1436)
Giovanni di Paolo, Cinque Angeli Danzanti (1436)

Nella danza si esprime l’aspetto più gioioso della ruota del tempo: il tempo e la vita appaiono leggeri come la luce, privi di malinconia e terrore: allegria e sacralità al tempo stesso.

Gaetano Previati danza delle ore (1899)
Gaetano Previati danza delle ore (1899)

Una delle più note danze sacre circolari è quella dell’ordine sufi dei Mevlevi. I dervisci, vestiti con ampie vesti bianche, ruotano velocemente su sè stessi, ed al contempo girano attorno allo Sheikh, il maestro della confraternita. Il rituale è nella sua essenza una danza d’amore sacro nei confronti di Allah, una rinuncia di sè che porta ad un completo abbandono a Dio.

La danza dei dervisci, immagine dal libro “Zigzag journeys in the Levant, with a Talmudist story-teller: a spring trip of the Zigzag club through Egypt and the Holy Land” (1885)
La danza dei dervisci, immagine dal libro “Zigzag journeys in the Levant, with a Talmudist story-teller: a spring trip of the Zigzag club through Egypt and the Holy Land” (1885)

Molti aspetti di questa danza rispecchiano fedelmente la simbologia della ruota. Il cerchio esterno rappresenta il mondo del divenire, multiforme e transitorio: “Tutto ciò che è la parvenza di altro da Iddio è il prodotto della tua immaginazione. Altro non è che un cerchio che ruota assai veloce.(Mahmoūd Shabestarī, Il roseto dei segreti, 1311)
La danza può anche esser intesa come un simbolo cosmico, un’allusione alla rotazione delle sfere planetarie ed in generale al mondo del divenire. Ciò non ne cambia il significato di base: “Non è nient’altro che una lanterna magica, in una scatola la cui candela è il Sole, e in cui giriamo attorno come ombre.” ʿ(Umar Khayyām, Rubaiyat (XI sec.)

Edmund J. Sullivan, illustrazione per le “Rubaiyat” di ʿUmar Khayyām (1933)
Edmund J. Sullivan, illustrazione per le “Rubaiyat” di ʿUmar Khayyām (1933)

Il centro è il punto fermo della ruota, la vera Luce di cui il mondo non è che l’ombra; è la sorgente dell’esistenza, ed al tempo stesso l’Uno in cui fa ritorno il Tutto. È proprio questo uno dei segreti della danza circolare:
Chiese quindi il re: «Qual’è il segreto della danza circolare dei mawlawi?»
Quello rispose: «Per quanto riguarda i suoi segreti, ecco quello che potrebbe bastare: occorre che tu vada da dove sei venuto.»
E aggiunse ancora: « È il segreto dell’origine e del ritorno.»“
L’origine è il centro, il Beneamato a cui tende l’amore mistico.
“Il Samāʿ è fatto per l’unione con il Benamato.
Quelli che hanno volto il viso verso la qibla,
per loro è il Samāʿ di questo mondo e di quell’altro
E più ancora quel cerchio dei danzatori nel Samāʿ,
che roteano e che hanno in mezzo a loro la loro propria Kaʿba.
(Mehmed Çelebi, Dīwān, XVI sec.)
Questa similitudine ci porta ad un altro maestoso rito dell’Islam, ovvero il ṭawāf, la circumambulazione della Kaʿba al culmine del Hajj, il pelleggrinaggio rituale alla Mecca. La massa di fedeli gira attorno alla Pietra Nera, creando così una gigantesca ruota umana attorno al punto fisso divino.

Il rito del Ṭawāf, la circumambulazione della Kaʿba alla Mecca.
Il rito del Ṭawāf, la circumambulazione della Kaʿba alla Mecca.

Lo storico delle religioni Mircea Eliade ricollegò le origini pre-islamiche di questo rito circolare al simbolismo celeste dell’Axis Mundi:
Un esempio suggestivo della multivalenza simbolica della pietra è dato dalle meteoriti. La Pietra Nera della Mecca e quella di Pessinunte, immagine aniconica della Grande Madre dei Frigi, Cibele, portata a Roma durante l’ultima guerra punica, sono le più illustri meteoriti. Il loro carattere sacro era dovuto anzitutto alla loro origine celeste. Ma erano insieme immagini della Grande Madre, cioè della divinità tellurica per eccellenza. È difficile credere che la loro origine uranica sia stata dimenticata, perché le credenze popolari attribuiscono questa discendenza a tutti gli strumenti preistorici di pietra chiamati ‘pietre del fulmin È. Probabilmente le meteoriti divennero immagini della Grande Dea perché si credettero inseguite dal fulmine, simbolo del Dio uranico. Ma, d’altra parte, la Ka’ba era considerata il ‘centro del mondo’, cioè non soltanto il centro della terra: sopra di essa, nel centro del cielo, doveva trovarsi la ‘Porta del Cielo’. Evidentemente, cadendo dal cielo, la Pietra Nera della Ka’ba bucò il firmamento, e attraverso quel foro può avvenire la comunicazione fra Terra e Cielo (vi passa l’’Axis Mundi’).(Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni, 3.3)
La circumambulazione è un gesto di base sul quale sono costruiti i rituali di molte religioni, associazioni e culti, dall’induismo fino alla massoneria. Nella maggior parte di questi riti, il fulcro attorno a cui ruotano i devoti corrisponde ad un oggetto da onorare, una manifestazione del sacro in qualche modo simile ad un centro di gravità.
A seconda dei casi il senso della rotazione può essere sia orario che antiorario. Lo psicologo Carl Gustav Jung individuò nella rotazione antioraria un movimento verso l’interno, e nel senso opposto un allontanamento dal centro:
Il sacerdote fa con il turibolo un triplice segno di croce sui doni sacrificali e traccia per tre volte un circolo, due volte da destra a sinistra (nel senso opposto a quello delle lancette dell’ orologio, il che, dal punto di vista psicologico, corrisponde a una circumambulatio verso il basso, cioè a un movimento nel senso dell’inconscio) c una volta da sinistra a destra (nel senso delle lancette dell’ orologio e, dal punto di vista psicologico, nel senso della coscienza). (Carl Gustav Jung, Il simbolo della trasformazione nella messa, 1954)

 

15. La Ruota della fortuna

Uno dei simboli più diffusi nel medioevo europeo è la Rota Fortunae, una rappresentazione allegorica della perpetua instabilità della sorte.

Miniatura da “Ovide Moralise” di Chretien Legouais (XIV sec.)
Miniatura da “Ovide Moralise” di Chretien Legouais (XIV sec.)

Dato il successo con cui l’immagine si è propagata, esistono moltissime varianti ed adattamenti specifici della ruota della fortuna. Alcuni tratti, però, rimangono costanti, formando per così dire l’ossatura del simbolo.
A girare la ruota è sempre una donna, personificazione della fortuna; a volte ha un velo davanti agli occhi, per indicare la cecità della sorte.
A differenza di altre ruote, i cui punti sono di fatto equivalenti l’uno all’altro, qui la ruota è divisa in settori, ad ognuno dei quali corrisponde un determinato grado della parabola del successo terreno. In ciò la ruota della fortuna si distingue da quella dello zodiaco: entrambe raffigurano il destino in forma circolare, ma gli equinozi ed i solstizi dello zodiaco non corrispondono a sommità o baratri di fortuna.
Tipicamente, nella Rota Fortunae si distinguono quattro fasi, che possono però moltiplicarsi nelle diverse varianti: un movimento ascendente, che dalla miseria porta verso la ricchezza; il culmine della gloria, spesso marcato da un re seduto in trono; la decadenza; la caduta all’imo.

Albertus Pictor, mosaici della chiesa di Härkeberga, Svezia (XV sec.)
Albertus Pictor, mosaici della chiesa di Härkeberga, Svezia (XV sec.)

Questo alternarsi del fato è ben espresso da un motto latino che spesso accompagna le raffigurazioni della ruota della fortuna: “Regnabo, regno, regnavi, sum sine regno”: regnerò, regno, regnavo, sono senza regno.
È evidente la similitudine con la ruota solare, rispettivamente con l’alba, il mezzogiorno, il tramonto e la notte. Non è un caso, evidentemente, che la ruota della fortuna giri il più delle volte in senso orario.
Per sottolineare ulteriormente la parabola del destino, i personaggi sulla ruota mostrano vesti diverse: ricca e sgargiante nella fase ascendente, sontuosa nell’apogeo, povera e di colori smorti nella caduta. La ruota è anche un’allegoria della vita: l’ardore della gioventù, la fugacità del potere, e poi l’inesorabile vecchiaia. Nel punto più basso a volte si trova un uomo nudo, per ricordarci che dopo la fine i beni terreni non rimangono in nostro possesso: nella tomba le ricchezze materiali sono del tutto inutili.

Albrecht Dürer, Nemesi o Grande Fortuna (1502)
Albrecht Dürer, Nemesi o Grande Fortuna (1502)

Poichè sottolinea la vanitas, l’impalpabile fugacità del mondo terreno, la ruota della fortuna ebbe un grande successo nel medioevo cristiano. Le sue origini, tuttavia, risalgono fino alla filosofia dell’età classica.
Il poeta romano Marco Pacuvio scrisse: “I filosofi dicono che Fortuna è pazza e cieca e stupida, e insegnano che essa sta in piedi sopra una roccia sferica che rotola continuamente: affermano che ad ogni caso spinga questa roccia, Fortuna si muoverà in quella direzione. È per questo motivo, dicono, che essa è cieca: perchè non vede dov’è diretta; e dicono sia folle, perchè è crudele, traballante ed instabile; e stupida, perchè non sa distinguere chi è degno da chi è indegno dei suoi favori.

La diffusione dell’immagine della ruota della fortuna è in gran parte dovuta al trattato “De philosophiae consolatione” di Severino Boezio, un testo che ebbe una vasta influenza sul pensiero e sulla letteratura medievale.
Tu ti sei dato alla fortuna, affinchè ti regga; è necessario dunque che tu ubbidisca ai costumi della tua donna. Credi di poter trattenere la corsa della ruota che gira sempre? O stoltissimo e più folle di ogni altro! Se cominciasse a star ferma, cesserebbe d’essere fortuna.

Miniatura dal “Libro di Troia” di John Lydgate, 1457-1460
Miniatura dal “Libro di Troia” di John Lydgate, 1457-1460

L’autore dedica poi a Fortuna e alla sua ruota una poesia, in cui si riconoscono i tratti base della relativa iconografia medievale:
Costei quando, quasi onda
Del gran padre Oceáno,
Ch’or bassa scopre or alta i liti inonda,
Ha con superba mano
Volto sua ruota, in un momento affonda
Crudel chi dianzi si sedeva in cima;
E quei, ch’al fondo prima
Giaceano oppressi e di speranza fuori,
Fallace innalza a’ più sublimi onori.
Non ode ella i lamenti,
Nè gli altrui pianti cura;
Anzi, quanti ne fa tristi e dolenti,
Tanti ne scherne dura.
Così scherza costei; tale alle genti
Sentirsi face; e per ultima prova
A’ suoi mostrar le giova
Ch’un uomo stesso, una medesima ora
Batte sotterra ed erge al cielo ancora.
La ruota della fortuna è un monito per i potenti, affinchè ricordino che la loro felice condizione non è certo eterna.
Per chi è preda della miseria, invece, la stessa ruota può dare consolazione e speranza: l’invidia verso i fortunati si placa, visto il prospetto della loro futura caduta, e al contempo si apre una speranza di poter un giorno salire ad un rango più elevato di quello attuale. Forse è anche per questo che lo schema della ruota della fortuna è stato e viene tuttora utilizzato per giochi d’azzardo e di fortuna quali la lotteria o la roulette: lo scommettitore “si dà alla fortuna affinchè lo regga” e spera che la grande ruota lo sollevi dalla sua indigenza.

Miniatura da un manoscritto del “De remediis utriusque fortunae” di Francesco Petrarca (1503)
Miniatura da un manoscritto del “De remediis utriusque fortunae” di Francesco Petrarca (1503)

La ruota ha un aspetto piacevole quando sale, ma terribile nell’inevitabile discesa; così anche la fortuna viene spesso raffigurata col volto diviso a metà, con un lato chiaro ed uno oscuro. Il sentiero della saggezza si tiene quindi il più possibile alla larga dalla ruota della fortuna, scansando sia le disgrazie che i doni che essa prodiga. Boezio contrapponeva alla Fortuna la Filosofia, ed anche Petrarca, nel trattato “De remediis utriusque fortune” che avrà un’ampia eco nel rinascimento, mostra come la Ragione possa contrastare gli effetti tanto della sfortuna che quelli, non meno gravidi di conseguenze, della buona sorte.
Anche questa ruota è legata allo scorrere del tempo.

Miniatura dal manoscritto “Fortune et Temporis dialogus” (XV sec.)
Miniatura dal manoscritto “Fortune et Temporis dialogus” (XV sec.)

In alcune raffigurazioni una personificazione del tempo aiuta Fortuna a girar la ruota, in altre è sul capo della donna stessa che si trova una sorta di orologio che le fa da corona.
La fortuna cambia col passar del tempo, così che i due aspetti sono intimamente collegati, differenti aspetti del divenire.

Miniatura dal “Vergänglichkeitsbuch” (1573)
Miniatura dal “Vergänglichkeitsbuch” (1573)

Come già accennato, la ruota della fortuna è inoltre un’simbolo della vita umana, anch’essa strettamente legata al tempo: una corrente che prima solleva verso la maturità, donando forza e saggezza, per poi trascinare verso la debolezza che precede la fine. Nella figura soprastante compare persino un teschio alla base della ruota, sul calco di certe raffigurazioni della crocifissione.
Il legame fra la sorte ed il tempo rimanda ad altre suggestioni, che rendono ancor più significativa la forma femminile con cui è raffigurata Fortuna.
“Fortuna”, in latino, è un nome femminile; ma il gesto femminile di girare la ruota è legato all’atto del filare con l’arcolaio. Nella ruota si somma quindi il simbolismo prettamente femminile della filatura, ed in particolare quello delle tre moire nella mitologia greca.
Cloto è colei che fila il filo della vita; Lachesi quindi lo misura, determinando così la durata della vita di ogni singolo uomo, ed Atropo lo recide, segnando la morte.

Fotografia di una donna irlandese mentre lavora all’arcolaio (1890)
Fotografia di una donna irlandese mentre lavora all’arcolaio (1890)

Pur non costituendone per forza una delle fonti primarie, è possibile che tramite l’invenzione dell’arcolaio l’antico simbolo della filatura si sia inserito in quello della ruota della fortuna. Le tre parche, dunque, sarebbero in un certo senso riassunte nell’unica figura di Fortuna.
La fortuna è uno degli ingredienti primari del gioco; non a caso la sua ruota ricorre anche in uno degli arcani maggiori del gioco dei tarocchi.

La ruota della fortuna dal mazzo di tarocchi Visconti-Sforza, ora conservato presso la Morgan Library di New York (1450-1480)
La ruota della fortuna dal mazzo di tarocchi Visconti-Sforza, ora conservato presso la Morgan Library di New York (1450-1480)

Una delle prime ricorrenze conosciute si trova nei mazzi Visconti-Sforza del XV secolo; lo spirito colto del rinascimento impreziosì le carte del gioco, fino a renderle dei piccoli capolavori in cui ogni immagine è un trattato in miniatura di filosofia figurata.
Proprio nella ruota della fortuna del mazzo Visconti-Sforza possiamo osservare un curioso dettaglio: sia il re che il pretendente al trono hanno le orecchie d’asino, e persino lo sventurato che cade ha una coda fra le gambe!

Dettaglio dalla ruota della fortuna dal mazzo di tarocchi Visconti-Sforza, ora conservato presso la Morgan Library di New York (1450-1480)
Dettaglio dalla ruota della fortuna dal mazzo di tarocchi Visconti-Sforza, ora conservato presso la Morgan Library di New York (1450-1480)

Si tratta di un tema comune, di cui già Ariosto, nelle sue satire, scrisse:
Quella ruota dipinta mi sgomenta 
ch’ogni mastro di carte a un modo finge:
tanta concordia non credo io che menta.
Quel che le siede in cima si dipinge
uno asinello: ognun lo enigma intende,
senza che chiami a interpretarlo Sfinge.
Vi si vede anco che ciascun che ascende
comincia a inasinir, le prime membre,
e resta umano quel che a dietro pende” .

Ancora una volta si trova in questa concezione una diffidenza nei confronti della fortuna, non solo per i suoi tiri mancini, ma persino verso i suoi doni, che arricchiscono materialmente ma al tempo stesso corrompono l’anima. L’anziano che cammina carponi è forse un richiamo al re Nabucodonosor, che nel libro biblico di Daniele subisce una trasformazione animalesca, diventando così un celebre esempio di come la potenza terrena possa condurre alla bestialità: “una voce venne dal cielo: «A te io parlo, re Nabucodònosor: il regno ti è tolto! Sarai cacciato dal consorzio umano e la tua dimora sarà con le bestie della terra; ti pascerai d’erba come i buoi e passeranno sette tempi su di te, finché tu riconosca che l’Altissimo domina sul regno degli uomini e che egli lo da’ a chi vuole.»”

William Blake, Nebuchadnezzar (1795)
William Blake, Nebuchadnezzar (1795)

Chi si affida alla ruota della fortuna, dunque, non è un vero uomo, ma va incontro ad una trasformazione morale che lo degrada al rango d’un animale. L’asino ha un ruolo di primo piano, per le sue note qualità simboliche di testardaggine e voluttà; ma non è raro trovare sulla ruota altri animali, come la scimmia, la volpe o il lupo.

Disegno da “Recueil de dessins ou cartons, avec devises, destinés à servir de modèles pour tapisseries ou pour peintures sur verre” (XV sec.)
Disegno da “Recueil de dessins ou cartons, avec devises, destinés à servir de modèles pour tapisseries ou pour peintures sur verre” (XV sec.)

Ogni volta che si tramanda, il simbolo cambia, magari impercettibilmente, ma pian piano questi dettagli si sommano causando un mutamento in cui il modello originario è del tutto stravolto.
Questo cambiamento non è per forza una degenerazione che va contro alla tradizione, ma spesso diventa il soffio vitale con cui il simbolo riesce a mantenersi attuale nel corso dei secoli.

Dettagli del re sulla cima della ruota della fortuna. Dall’alto al basso: dai tarocchi marsigliesi Jean Dodal (1700-1710); dai tarocchi marsigliesi di Nicolas Conver (1760); dai tarocchi di Rider-Waite (1910).
Dettagli del re sulla cima della ruota della fortuna. Dall’alto al basso: dai tarocchi marsigliesi di Jean Dodal (1700-1710); dai tarocchi marsigliesi di Nicolas Conver (1760); dai tarocchi di Rider-Waite (1910).

In questo modo, è possibile osservare come nel tempo l’ibrido re/animale abbia subìto una lenta trasformazione: il suo mantello diventa un paio d’ali, ed il suo scettro una spada; il corpo ed il volto mutano, fino a diventare quelli di una sfinge. Qui sopra vediamo il dettaglio del re sulla cima della ruota; in alto la versione dai tarocchi marsigliesi Jean Dodal (1700-1710); in centro la variante, sempre marsigliese, di Nicolas Conver (1760); in basso, infine, quella dal celebre mazzo Rider-Waite (1910).
Com’è naturale, nel corso dei secoli è del tutto cambiato il modo di interpretare gli arcani maggiori dei tarocchi; nell’esoterismo filosofico delle origini si sono progressivamente innestate le idee dell’occultismo, riflettendo le mode culturali del XIX e XX secolo. È tramite questo filtro che i tarocchi sono arrivati ad i nostri tempi, e con loro il simbolo della ruota della fortuna.

14. La vita

La vita è un delicatissimo equilibrio fra il continuo mutamento ed il mantenimento di un’identità. La vita presuppone il divenire, eppure proprio il tempo sembra esserle nemico, portando ogni cosa che vive verso un lento degrado, che culmina nella morte. Per superare questo ostacolo, la natura usa la legge della Ruota, così che la morte non è più una fine eterna, ma un punto del cerchio. La morte non è infatti l’antitesi della vita, ma ne è parte integrante; un passaggio critico della ruota, simile in un certo senso a ciò che nel ciclo dell’anno è rappresentato dal solstizio d’inverno.
Di per sè, la vita individuale ha un corso lineare che porta dall’inizio alla fine. Grazie alla riproduzione, però, la vita chiude il cerchio, abbracciando la fine ma al contempo ricominciando da un nuovo inizio. Non a caso lo sviluppo di una forma vivente viene definito “ciclo vitale”.

Rappresentazione schematica del ciclo vitale della zanzara (Culex pipiens)
Rappresentazione schematica del ciclo vitale della zanzara (Culex pipiens)

La ruota della vita si manifesta a più livelli. Già le cellule del corpo decadono e muoiono, ma dividendosi creano nuove cellule in grado di sostituirle. Il mutamento non esclude il conservazione dell’individualità: nonostante le cellule che lo compongono si rinnovino continuamente, il corpo rimane sempre simile a sè stesso, segno visibile di un’identità costante.
Anche nella riproduzione sessuata c’è un simile processo: l’esistenza individuale va perduta, ma il corredo genetico viene trasmesso alla prole, e negli organismi superiori a ciò si aggiunge anche l’educazione, che lascia nei figli un’impronta psicologica e culturale dei genitori. Ogni singolo ciclo diviene così l’anello di una catena, che a sua volta si chiude a cerchio per divenire il componente di una ruota più grande.

Immagine dai “Paradoxa Emblemata” di Dionysius Andreas Freher (XVIII sec.)
Immagine dai “Paradoxa Emblemata” di Dionysius Andreas Freher (XVIII sec.)

Questa immagine rappresenta in maniera tanto schematica quanto precisa la circolarità della vita. Anche il motto che l’accompagna è altrettanto esplicito: “Nè inizio nè fine / La fine è inghiottita dall’inizio”. Un altro motto da un emblema della stessa serie spiega più nel dettaglio: “La morte è l’inizio della vita, e la vita è l’inizio della morte / Provenienti da un centro che non è nè morto nè vivo”.
È degno di nota che anche nel cristianesimo la morte venga collegata al simbolo della ruota. Nei vangeli è scritto che la tomba in cui viene chiuso il corpo di Gesù viene chiusa facendo rotolare una gran pietra.
Un’iconografia molto recente ha sviluppato ulteriormente questa similitudine, dipingendo la porta della tomba come se fosse un grande disco di pietra, fatto appositamente per essere rotolato così da aprire e chiudere agevolmente la tomba. Il significato è sempre il medesimo, ovvero l’accostamento fra la fine apparente della morte e il ritorno in vita simboleggiato dalla ruota.

Anonimo, La tomba vuota di Cristo (XXI sec.)
Anonimo, La tomba vuota di Cristo (XXI sec.)

Il ciclo vitale trova un’ulteriore chiusura simbolica nella reincarnazione, un’antichissima concezione religiosa secondo cui il cerchio della vita non si chiuderebbe soltanto nella generazione, ma comprenderebbe il ritorno dell’anima individuale nel corpo di un nuovo nato.
La credenza nella reincarnazione si ritrova nella cultura di moltissimi popoli, con moltissime varianti e particolarità locali. Fra le più conosciute ricorderemo la metempsicosi pitagorica e l’importante concezione induista della reincarnazione; la reincarnazione svolge inoltre un ruolo centrale anche in molte forme moderne di spiritualità, come la Teosofia del XVIII secolo, o le correnti New Age del tardo XX secolo.
In molte di queste varianti, la reincarnazione non è per forza esclusivamente un passaggio da una vita umana all’altra, ma un salto che può portare a differenti livelli dell’essere, dalla vita animale più misera fino ad un’esistenza divina. Le azioni che si compiono in questa vita condizionano la tipologia della propria vita futura, sia secondo una concezione morale di peccati e meriti che nella sfumatura tipicamente orientale del karma.
In un antico testo dell’induismo, si legge che “Coloro che conquistano i mondi celesti con il sacrificio, l’elemosina, l’ascesi, costoro entrano nel fumo, dal fumo passano nella notte, dalla notte nella quindicina della Luna calante, dalla quindicina della Luna calante nel semestre in cui il Sole si muove verso il Sud, da questo semestre nel mondo dei Mani, dal mondo dei Mani nella Luna. Giunti che siano alla Luna, essi diventano nutrimento e gli dèi quivi se ne cibano come si cibano della Luna con le parole «Accresciti, riduciti!». Poiché questa sosta è per essi terminata, allora ritornano nello spazio, dallo spazio passano nel vento, dal vento nella pioggia, dalla pioggia sulla terra. Giunti che siano sulla terra, diventano cibo e di nuovo sono sacrificati in quel fuoco che è l’uomo e rinascono in quel fuoco che è la donna. Giungendo ai diversi mondi, continuano così il loro ciclo. Ma coloro che non conoscono queste due vie, rinascono come vermi, insetti e tutte le specie che mordono.
È notevole il ruolo della Luna quale stazione in cui le anime si dissolvono, in maniera del tutto simile a quanto raccontato da Plutarco (vedi pag. 32).
La vita è dunque una ruota senza inizio nè fine, che gira in continuazione, e la morte non ne arresta il moto, ma è soltanto un punto di passaggio fra un ciclo e l’altro. Come ogni ruota, anche questa ha un lato confortante ed uno terrificante.
La reincarnazione sminuisce la morte, senza per questo svalutare le conseguenze della propria vita. Così, ad esempio, Giulio Cesare descrisse la specifica credenza dei Galli nella reincarnazione: “Il loro principale insegnamento riguarda l’immortalità dell’anima, che dopo la morte – sostengono – passa da un corpo ad un altro. Lo ritengono un grandissimo incentivo al coraggio, poichè viene eliminata la paura di morire.”
Nel pensiero orientale il cerchio senza fine evoca invece terrore e stanchezza, e persino l’eterna continuazione della vita suscita il desiderio di fuggire dalla catena della ruota.
In sanscrito, la parola Saṃsāra indica proprio questa concezione negativa del ciclo di nascita, vita, morte e reincarnazione.
Sia l’induismo che il giainismo ed il buddhismo cercano secondo strade diverse la liberazione, Mokṣa o Nirvāṇa, una via di fuga che porti all’esterno della grande ruota.
Sarebbe impossibile riassumere in poche righe i precetti e la filosofia che conducono alla liberazione, e ironicamente ciò rischierebbe di portarci fuori dal nostro tema, che è appunto la ruota. Vedremo invece nel dettaglio una particolare raffigurazione simbolica del Saṃsāra, diffusa principalmente in Tibet e chiamata Bhavacakra, termine che significa “ruota dell’Esistenza”.

Bhavacakra, la ruota dell’esistenza tibetana
Bhavacakra, la ruota dell’esistenza tibetana

Yama, il dio della morte, stringe con i denti e gli artigli la ruota del continuo ripetersi di nascite e morti.
Al centro della ruota ritroviamo la divisione in tre fattori diversi. Il gallo simboleggia l’avidità, il serpente l’odio, ed il maiale l’ignoranza. Sono proprio queste forze, chiamate “Tre Veleni”, a legare le persone alla ruota.

Bhavacakra, la ruota dell’esistenza tibetana - dettaglio del centro

Attorno a questi c’è un anello diviso in una metà nera, discendente ed involutiva, ed una bianca, ascendente e migliorativa.

6 bhavacakra fuori

Muovendosi ulteriormente verso l’esterno, si trova un altro anello diviso in sei settori, raffiguranti i Sei Regni in cui l’essere può rinascere. Tre sono positivi: il regno dei Deva, gli dèi; il regno degli Asura, una sorta di semi-dèi; il regno degli esseri umani. Gli altri tre sono invece luoghi negativi: il regno dei Preta, spiriti famelici condannati ad inseguire invano le loro brame; il regno delle creature infernali; il regno degli animali. All’interno di ognuno di questi si trova una figura del Buddha, con attributi di volta in volta diversi.
Ancora verso l’esterno si incontra un nuovo anello, diviso in dodici settori, corrispondenti agli anelli del sorgere condizionato. Un uomo cieco simboleggia l’ignoranza della vera natura della realtà; il vasaio significa la creazione delle forme karmiche nei materiali fisici e psichici; una scimmia che salta indica l’esperienza cosciente, costantemente attraversata da pensieri; due uomini in una barca simboleggiano la distinzione fra il sè e il non-sè, oppure fra la mente ed il corpo; una casa con sei finestre rappresenta i cinque sensi e la mente; la coppia di amanti allude alla percezione del mondo esterno; la freccia nell’occhio raffigura l’interferenza delle emozioni e delle sensazioni corporee; la coppa servita dalla donna significa la brama che risulta dal sentimento; la donna che raccoglie frutti e fiori indica l’attaccamento a ciò che si desidera; il rapporto sessuale rappresenta la vita che riproduce sè stessa; la donna incinta allude all’inizio di una nuova vita; l’uomo che porta un cadavere sulla schiena, infine, simboleggia la vecchiaia, la malattia, la decadenza e la morte. La morte conduce nuovamente all’ignoranza, e la ruota torna a girare.
Ogni anello è la causa di quello successivo, creando così una catena chiusa senza apparente via di scampo.
In alcune varianti dell’iconografia della Bhavacakra si trova la figura del Buddha anche all’esterno della ruota, ad indicare la via della liberazione dal Saṃsāra. In alcuni casi egli indica la Luna, che simboleggia qui il Nirvana, confermando così l’astro quale luogo simbolico in cui si consumano le anime.

 

13. Dio e la ruota

L’importanza simbolica della ruota è tale da sconfinare nella sfera del sacro, e persino in quella del divino. Ritroviamo così la ruota come attributo di divinità, o persino come immagine stessa di Dio.
Abbiamo già visto come la ruota entri a far parte dell’iconografia del divino in quanto componente del carro, simbolo di nobiltà e potenza. A volte, però, ad esser posta in primo piano è proprio la ruota in sè, non come sineddoche del carro ma nei suoi significati intrinseci, come emblema del divenire, del tempo, del cielo e del Sole.

Statuetta in bronzo del dio celtico Taranis, ritrovata a Le Châtelet de Gourzon, Francia, ed ora conservate al Musee d’Archeologie Nationale (I sec. a.C.)
Statuetta in bronzo del dio celtico Taranis, ritrovata a Le Châtelet de Gourzon, Francia, ed ora conservate al Musee d’Archeologie Nationale (I sec. a.C.)

Questa statua rappresenta lo Juppiter gallico, noto anche come Taranis. La ruota ricorre come uno degli attributi iconografici più importanti del dio, tanto che in alcune stele votive essa appare da sola, a simboleggiare la divinità stessa. Come testimoniano le fonti scritte e gli altri attributi con cui il dio viene raffigurato, Taranis era un dio del fulmine; lo stesso nome viene fatto derivare da una parola celtica che significa proprio “fulmine”.

Dettaglio dal Calderone di Gundestrup (II sec. a.C.)
Dettaglio dal Calderone di Gundestrup (II sec. a.C.)

Come si concilia la ruota con la simbologia del fulmine? In mancanza di paralleli e fonti precise sull’argomento specifico possiamo solamente avanzare ipotesi. La ruota potrebbe essere un emblema uranico e solare, forse ad indicare che Taranis all’inizio era un dio celeste, e collegato quindi all’intera simbologia rotazionale del cielo; soltanto in seguito la divinità si sarebbe “specializzata” nel ruolo di dio del fulmine.
La ruota, altrimenti, potrebbe essere la rappresentazione del rombo del tuono, che sembra riecheggiare nel cielo proprio come se girasse intorno alla volta celeste. Tale teoria è supportata dalla similitudine con Thor, il dio del fulmine nordico, nel cui immaginario è ben presente il carro, il cui rumore può ricordare appunto il tuono.

Rotella in bronzo, probabilmente un oggetto votivo collegato al culto di Taranis (I sec. a.C.-I sec. d.C.)
Rotella in bronzo, probabilmente un oggetto votivo collegato al culto di Taranis (I sec. a.C.-I sec. d.C.)

Non sono che ipotesi; ciò che ora conta è però sottolineare come la ruota sia un simbolo talmente importante da sconfinare nel divino, o addirittura rappresentare la divinità stessa. Nell’area celtica sono state ritrovate molte rotelle in bronzo, piombo o oro, che potrebbero essere oggetti votivi collegati al culto di Taranis. Simili reperti sono stati rinvenuti anche nei corredi funerari in altre popolazioni dell’età del bronzo europea. Ancora una volta, in mancanza di testimonianze scritte o inequivocabili, possiamo solamente chiederci se e come questi oggetti fossero legati al simbolismo della ruota; in ogni caso, è improbabile che la diffusione di questa forma sia dovuta solamente a questioni meramente estetiche.
Forse il più celebre esempio dell’associazione fra ruota e divinità si trova nella visione di Ezechiele.

Illustrazione dalla Bibbia in latino commentata da Nicolas de Lyre, Lione (1496)
Illustrazione dalla Bibbia in latino commentata da Nicolas de Lyre, Lione (1496)

Così il profeta biblico descrive la magnifica e tremenda teofania di cui è testimone:
Io guardavo ed ecco un uragano avanzare dal settentrione, una grande nube e un turbinìo di fuoco, che splendeva tutto intorno, e in mezzo si scorgeva come un balenare di elettro incandescente. Al centro apparve la figura di quattro esseri animati, dei quali questo era l’aspetto: avevano sembianza umana e avevano ciascuno quattro facce e quattro ali. Le loro gambe erano diritte e gli zoccoli dei loro piedi erano come gli zoccoli dei piedi d’un vitello, splendenti come lucido bronzo. Sotto le ali, ai quattro lati, avevano mani d’uomo; tutti e quattro avevano le medesime sembianze e le proprie ali, e queste ali erano unite l’una all’altra. Mentre avanzavano, non si volgevano indietro, ma ciascuno andava diritto avanti a sé.
Quanto alle loro fattezze, ognuno dei quattro aveva fattezze d’uomo; poi fattezze di leone a destra, fattezze di toro a sinistra e, ognuno dei quattro, fattezze d’aquila. Le loro ali erano spiegate verso l’alto; ciascuno aveva due ali che si toccavano e due che coprivano il corpo. Ciascuno si muoveva davanti a sé; andavano là dove lo spirito li dirigeva e, muovendosi, non si voltavano indietro.
Tra quegli esseri si vedevano come carboni ardenti simili a torce che si muovevano in mezzo a loro. Il fuoco risplendeva e dal fuoco si sprigionavano bagliori. Gli esseri andavano e venivano come un baleno. Io guardavo quegli esseri ed ecco sul terreno una ruota al loro fianco, di tutti e quattro.
Le ruote avevano l’aspetto e la struttura come di topazio e tutt’e quattro la medesima forma, il loro aspetto e la loro struttura era come di ruota in mezzo a un’altra ruota. Potevano muoversi in quattro direzioni, senza aver bisogno di voltare nel muoversi. La loro circonferenza era assai grande e i cerchi di tutt’e quattro erano pieni di occhi tutt’intorno. Quando quegli esseri viventi si muovevano, anche le ruote si muovevano accanto a loro e, quando gli esseri si alzavano da terra, anche le ruote si alzavano. Dovunque lo spirito le avesse spinte, le ruote andavano e ugualmente si alzavano, perché lo spirito dell’essere vivente era nelle ruote. Quando essi si muovevano, esse si muovevano; quando essi si fermavano, esse si fermavano e, quando essi si alzavano da terra, anche le ruote ugualmente si alzavano, perché lo spirito dell’essere vivente era nelle ruote.

Dettaglio dalla precedente immagine, tratta dalla Bibbia in latino commentata da Nicolas de Lyre, Lione (1496)
Dettaglio dalla precedente immagine, tratta dalla Bibbia in latino commentata da Nicolas de Lyre, Lione (1496)

La potenza espressiva di questa visione profetica avrà un ampio eco: i quattro esseri in particolare sono filtrati fino all’iconografia cristiana, restando tuttora usati e riconosciuti quali emblemi dei quattro evangelisti. Anche l’immagine della ruota in mezzo alla ruota ha avuto un grande successo, venendo spesso rappresentata come pars pro toto dell’intera epifania di Ezechiele.

Decorazioni della cattedrale di Notre-Dame ad Amiens, Francia (XIII sec.)
Decorazioni della cattedrale di Notre-Dame ad Amiens, Francia (XIII sec.)

È chiaro che anche nella visione di Ezechiele la simbologia del carro gioca un ruolo di prim’ordine: le ruote infatti sono in tutto quattro. Il trono di Dio in forma di carro è uno degli argomenti principali della mistica speculativa ebraica, di cui si trovano ampie traccie nell’Antico Testamento. Il profeta Daniele, ad esempio, scrisse che “il suo trono era come vampe di fuoco con le ruote come fuoco ardente” ; e nella descrizione delle decorazioni del Tempio è riportato: “Ciascuna base aveva quattro ruote di bronzo con gli assi di bronzo; […] Le quattro ruote erano sotto le traverse; gli assi delle ruote erano fissati alla base; l’altezza di ogni ruota era di un cubito e mezzo. le ruote erano lavorate come le ruote di un carro; i loro assi, i loro quarti, i loro raggi e i loro mozzi erano tutti di metallo fuso.

Moneta della Giudea raffigurante una divinità su una ruota alata; secondo un’ipotesi si tratterebbe di una raffigurazione del Dio d’Israele secondo i canoni della visione d’Ezechiele (III sec. a.C.)
Moneta della Giudea raffigurante una divinità su una ruota alata; secondo un’ipotesi si tratterebbe di una raffigurazione del Dio d’Israele secondo i canoni della visione d’Ezechiele (III sec. a.C.)

È interessante notare come anche la visione di Ezechiele associ la ruota ad un forte rumore nel cielo: “Allora uno spirito mi sollevò e dietro a me udii un grande fragore: «Benedetta la gloria del Signore dal luogo della sua dimora!». Era il rumore delle ali degli esseri viventi che le battevano l’una contro l’altra e contemporaneamente il rumore delle ruote e il rumore di un grande frastuono.
Oltre alla simbologia del carro di cui fa parte, la doppia ruota di Ezechiele può essere intesa quale portatrice di un significato autonomo. Potrebbe riferirsi ad esempio all’intersecarsi di due cerchi astronomici, come l’equatore celeste e l’eclittica. Gli occhi sulle ruote potrebbero simboleggiare le stelle nella volta celeste; due degli esseri della visione, il bue ed il leone, corrispondono inoltre a costellazioni zodiacali, e secondo alcune ipotesi l’uomo e l’aquila indicherebbero rispettivamente l’Aquario e lo Scorpione.
Nel 1500 il mistico tedesco Jacob Böhme riprese e potenziò il simbolo della doppia ruota, descrivendo la Divinità come “una ruota con al suo interno sette ruote(Morgenröte im Aufgang, 1618). Come egli stesso spiega, le ruote sono un’immagine dei sette spiriti di Dio, legati da una complessa interrelazione: “Si generano di continuo a vicenda, ed è come se, facendo girare una ruota contenente sette ruote, ognuna ruotasse sempre in senso opposto a quella al suo interno, e i loro contorni formassero insieme una sfera rotonda. […] I mozzi delle sette ruote formano un unico centro, che è il cuore o il corpo interno delle ruote, e che simboleggia il Figlio di Dio.

8 bohme aurora

Nel suo libro “Psicologia e alchimia”, Carl Gustav Jung riporta una serie di sogni ed impressioni visive di un paziente raccolte in una serie di sedute di analisi. Il simbolo della ruota ricorre più volte, ma è nella “grande visione” finale che esso si esprime con la massima chiarezza, mostrando un aspetto numinoso che lo rende vicino alla visione di Ezechiele:
Vi sono due cerchi, uno verticale e uno orizzontale, con un centro comune. È l’orologio universale, portato dall’uccello nero. Il cerchio verticale è un disco azzurro con bordo bianco diviso in 4 X 8 = 32 parti; sul disco gira una lancetta.
Il cerchio orizzontale consta di quattro colori. Quattro ometti stanno in piedi sul cerchio e reggono dei pendoli. Intorno a loro c’è l’anello (portato nel sogno 56 dai quattro bambini) che prima era scuro e adesso invece è d’oro.
L’orologio ha tre ritmi o pulsazioni:
Pulsazione piccola: la lancetta del disco verticale azzurro va avanti di un trentaduesimo.
Pulsazione media: una rotazione completa della lancetta. Nel medesimo tempo va avanti di un trentaduesimo il cerchio orizzontale.
Pulsazione grande: trentadue pulsazioni medie corrispondono a una rotazione completa dell’anello d’oro.
Questa strana visione ha prodotto sul sognatore un’impressione profonda e durevole: un’impressione di suprema armonia, com’ebbe a esprimersi.
Nello stesso testo Jung fornisce un’interpretazione psicologica di questa immagine: “il centro e la sua circonferenza rappresentino la totalità dell’essere psichico, e quindi il Sé; questa figura attesterebbe che nel Sé si intersecano due sistemi eterogenei, funzionalmente collegati da un rapporto determinato da una legge e regolato da tre ritmi”. In “Psicologia e religione” Jung però tratta la stessa visione in un senso differente, ampliandone l’interpretazione come se si trattasse di un sistema cosmologico. La forma dei due cerchi è allora paragonata alla forma sferica dell’Anima Mundi nel Timeo di Platone, ed il loro movimento circolare viene accostato alla pitagorica armonia musicale delle sfere celesti.
Il cerchio azzurro potrebbe facilmente simboleggiare l’azzurro emisfero del cielo, mentre il cerchio orizzontale rappresenterebbe l’orizzonte con i quattro punti cardinali, personificati dai quattro ometti e caratterizzati dai quattro colori. (In un sogno precedente i quattro punti erano rappresentati una volta da quattro bimbi e un’altra dalle quattro stagioni.) Questo quadro ci rammenta immediatamente le rappresentazioni medievali dell’universo in forma d’un cerchio, o del rex gloriae con i quattro evangelisti, o anche delle melotesie ove l’orizzonte è formato dallo zodiaco.
Dopo un’approfondita analisi, Jung conclude che la visione dell’orologio universale “significa nientemeno che l’unione dell’anima con Dio”.
La concezione di un universo meccanico simile ad una grande macchina fatta di ingranaggi circolari si riscontra già nel medioevo, ma raggiungerà il suo culmine con l’Illuminismo, che fece del determinismo matematico delle leggi naturali uno dei suoi fondamenti. Tale punto di vista divenne in quel periodo il modo per estromettere Dio dalla creazione: come un orologiaio, il creatore ha creato agli inizi la macchina perfetta del Cosmo, ma da allora ne rimane all’esterno, perchè l’universo funziona benissimo anche senza il suo intervento. Persino nell’ottica del deismo più razionalista l’accostamento fra universo e ruota rimane comunque carico di una profonda meraviglia, suscitando un sentimento di profonda sacralità.

Gustave Dorè, illustrazione della Divina Commedia - Dante e Beatrice osservano l’Empireo (XIX sec.)
Gustave Dorè, illustrazione della Divina Commedia – Dante e Beatrice osservano l’Empireo (XIX sec.)

Forse la più profonda descrizione della sacralità cosmica della ruota è quella con cui Dante termina il suo capolavoro:
sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il Sole e l’altre stelle.

Illustrazione dalla Divina Commedia edita da Francesco Marcolini – la Rosa celeste (1544)
Illustrazione dalla Divina Commedia edita da Francesco Marcolini – la Rosa celeste (1544)

Ancora una volta, alla forma della ruota si sovrappone quella del fiore, ed in particolare della Rosa che il poeta vede nel cielo più alto del Paradiso: “In forma dunque di candida rosa mi si mostrava la milizia santa che nel suo sangue Cristo fece sposa; ma l’altra, che volando vede e canta la gloria di colui che la ‘nnamora e la bontà che la fece cotanta, sì come schiera d’ape che s’infiora una fïata e una si ritorna là dove suo laboro s’insapora, nel gran fior discendeva che s’addorna di tante foglie, e quindi risaliva là dove ‘l süo amor sempre soggiorna.

Beato Angelico, decorazione dai pannelli dell’Armadio degli Argenti (1453)
Beato Angelico, decorazione dai pannelli dell’Armadio degli Argenti (1453)

Un’analoga rappresentazione si ritrova nelle decorazioni dell’Armadio degli Argenti, ad opera di Beato Angelico: in questa ruota si trovano gli evangelisti ed i profeti biblici, secondo un modello che deriva esplicitamente dalla visione di Ezechiele, ma che ricorda anche la Rosa dantesca.
Pur senza addentrarci in un’insidiosa ricerca di rapporti iconografici, possiamo comunque concludere una volta di più che il simbolo della ruota è strettamente collegato alla divinità e alla sacralità.
Come ogni simbolo, la ruota ha però anche un lato d’ombra che contrappone al significato divino e cosmico un’accezione infernale e distruttiva. La grande ruota dell’universo diventa allora simile alla ruota del mulino, che macina senza pietà la vita rendendola in polvere; oppure come un enorme vortice, che inghiotte senza pietà ciò che genera, proprio come il dio greco Crono inghiottiva i suoi figli.
Una brillante metafora di questo gorgo cosmico si trova in un racconto di Edgar Allan Poe, intitolato “Una discesa nel Maelström”. Si tratta del racconto di un marinaio scampato ad un tremendo vortice marino, ma fra le righe si può intendere come la narrazione trascenda la realtà fisica per divenire una terribile raffigurazione dell’esistenza stessa, governata dalla legge del divenire e dell’eterno mutamento.

Harry Clarke, ilustrazione per “Una discesa nel Maelström” di Edgar Allan Poe (1919)
Harry Clarke, ilustrazione per “Una discesa nel Maelström” di Edgar Allan Poe (1919)

Tremando guardai e vidi un vasto spazio di mare dalle acque di un colore d’inchiostro, il quale mi richiamò subito alla mente la descrizione che il geografo nubiano fa del Mare Tenebrarum”. […] Là il vasto letto delle acque solcato e rotto da mille flussi contrari si rompeva in convulsioni frenetiche, e sussultava, bolliva, sibilava, roteava in innumerevoli vortici giganteschi, che turbinavano rovesciandosi verso levante con una rapidità che l’acqua non prende se non nelle più precipitose cascate.
Alcuni minuti dopo la scena cambiava di nuovo radicalmente d’aspetto. La superficie del mare diventò in generale più unita, l’uno dopo l’altro i vortici scomparvero, e si palesarono prodigiose strisce di schiuma, che prima non c’erano. Queste strisce di schiuma si distesero poi sino a grande distanza, e, combinandosi l’una con l’altra, si appropriarono del movimento rotatorio dei vortici che si erano dileguati, come per formare il centro di un vortice più vasto.
Improvvisamente questo vortice prese forma chiara e definitiva in un circolo di più d’un miglio di diametro.
Sul margine del turbine si levava una larga cintura di schiuma lucente della quale però non un solo fiocco cadeva nella voragine dell’imbuto spaventoso, costituito, fin dove si poteva spingere l’occhio, di una muraglia d’acqua, liscia lucida e nera.
Come le ruote divine di Bohme, anche i singoli vortici si concatenano divenendo un’unica rotazione attorno ad un unico centro. Il vortice è devastante, ed il marinaio, pur sopravvivendo al disastro, resta fiaccato nel corpo e nello spirito, come se la rotazione cosmica l’avesse segnato fin nella profondità. Ai suoi ascoltatori, il sopravvissuto confida una significativa confessione: “Lo credereste che quasi non posso guardare giù da questa piccola rupe senza essere preso da vertigine?
Anche nel suo aspetto più terrificante, la ruota cosmica mantiene sempre un elemento meraviglioso ed affascinante:
Vi parrà forse una millanteria, ma in fede mia vi dico il vero: cominciai a riflettere che cosa stupenda fosse morire in quel modo, e quanto fossi sciocco a preoccuparmi di una cosa così piccola come la mia vita, di fronte a una manifestazione così magniloquente della potenza divina. Credo, in verità, di essere arrossito dalla vergogna quando questa idea mi attraversò la mente. E poco dopo fui preso dalla più ardente curiosità riguardo al vortice medesimo. Provai realmente il desiderio di esplorare i suoi abissi anche a costo del sacrificio che stavo per fare; e se rammarichi avevo, il più grosso mi veniva dalla considerazione di non poter mai raccontare ai miei vecchi compagni i misteri che stavo per conoscere. Erano codeste, senza dubbio, fantasie singolari per la mente di un uomo che versa in tali estremità, e spesso poi mi è venuta l’idea che le rivoluzioni del battello intorno all’abisso mi avessero un po’ tolto il senno.

Statua in bronzo di Vishnu, proveniente dall’India ed ora conservata al Brooklyn Museum (X sec.)
Statua in bronzo di Vishnu, proveniente dall’India ed ora conservata al Brooklyn Museum (X sec.)

Nella filosofia orientale la ruota è principalmente un’immagine del saṃsāra, il logorante ciclo di vita, morte e rinascita; ad essa tuttavia sono riservate anche molte associazioni simboliche alla sfera del divino. Il Sudarshana Chakra, ad esempio, è una ruota usata come arma da lancio, uno degli attributi del dio Vishnu.

I chakra, da un manoscritto sullo Yoga in lingua Braj-bhasha (XIX sec.)
I chakra, da un manoscritto sullo Yoga in lingua Braj-bhasha (XIX sec.)

In molti ambiti religiosi e filosofici indiani, e specialmente nelle diverse forme di yoga, chakra, ossia “ruota”, è un termine tecnico per indicare i centri del corpo sottile in cui si concentra l’energia. Il loro numero e la loro posizione varia a seconda dei testi e delle scuole di riferimento, ma i più importanti sono sette, disposti lungo l’asse della colonna vertebrale.

La ruota del Dharma
La ruota del Dharma

La ruota del Dharma è uno dei più conosciuti simboli del buddhismo. La parola Dharma è di difficile traduzione, essendo legata a differenti significati a seconda del contesto culturale di riferimento; spesso viene tradotta come “legge”, e nel buddhismo indica anche gli insegnamenti del Buddha.
Nel Dharmacakra Pravartana Sūtra sono raccolti i primi insegnamenti che il Buddha impartì dopo l’illuminazione. È in questa occasione, secondo il testo, che la ruota del Dharma iniziò a girare, mossa dall’insegnamento del Buddha. Spesso la ruota del Dharma è affiancata da due gazzelle, proprio in ricordo del luogo in cui il Buddha impartì i suoi insegnamenti, il parco delle gazzelle a Sarnath.
Nei primi periodi dell’arte buddhista il fondatore della religione non veniva raffigurato, e spesso il suo posto nelle composizioni artistiche veniva lasciato appositamente vuoto, per sottolineare la sua trascendenza rispetto al mondo manifesto. In alcuni casi, la sua presenza nella scena veniva indicata dalla ruota del Dharma, che oltre a rappresentare l’insegnamento diventa quindi un simbolo del Buddha stesso, creando così una sovrapposizione semantica dei due aspetti.
Spesso la ruota del Dharma è raffigurata sull’impronta del piede del Buddha, corredata da un numero variante di simboli accessori: non a caso, l’impronta è il segno concreto che si lascia dopo esser passati.

 

Impronta del Buddha, proveniente da Khyber Pakhtunkhwa, Pakistan, ed ora conservata presso il museo di Lahore (II-III sec. d.C.)
Impronta del Buddha, proveniente da Khyber Pakhtunkhwa, Pakistan, ed ora conservata presso il museo di Lahore (II-III sec. d.C.)

Il numero dei raggi della ruota può variare, ma il loro significato viene sempre associato alla dottrina buddhista. La forma più affermata conta otto raggi, che simboleggiano il Nobile Ottuplice Sentiero “ovvero la retta visione, la retta intenzione, la retta parola, la retta azione, il retto modo di vivere, il retto sforzo, la retta presenza mentale, la retta concentrazione.(Dhammacakkappavattana Sutta, Saṃyutta-nikāya, 56,11)
Un’altra nota variante è la ruota di Ashoka, con 24 raggi. Il suo nome è legato a quello dell’imperatore Ashoka; tutt’ora essa è rappresentata al centro della bandiera dell’India. Dodici raggi rappresentano i dodici anelli del sorgere condizionato, collegamenti di causa ed effetto da cui ha origine il ciclo del Saṃsāra; gli altri dodici rappresentano la liberazione dagli anelli, grazie agli insegnamenti del Buddha.
Nel Tibet si incontra una variante della ruota del Dharma al cui centro è raffigurato il simbolo del Gankyil, un simbolo a triplice spirale molto simile al Samsaeg-ui Taegeuk coreano.

Il Gankyil tibetano
Il Gankyil tibetano

I significati simbolici ternari ad esso attribuiti sono molteplici; nel contesto buddhista, i tre colori rappresentano la vittoria sui Tre Veleni raffigurati al centro della Bhavachakra, la ruota del Saṃsāra.

 

12. Simboli del divenire

La ruota trascende l’accezione strettamente cronologica, e si mostra come un simbolo archetipico, la forma visibile di una qualità dell’esistenza: il divenire, il continuo mutamento, l’alternanza ciclica delle polarità opposte. In questa alternanza, ovviamente, è presupposto il tempo: non c’è mutamento senza lo scorrere del tempo, e forse nemmeno viceversa. Il tempo ed il divenire, dunque, sono due volti dello stesso fenomeno, due aspetti chiave della realtà.

Il simbolo taoista del Taijitu
Il simbolo taoista del Taijitu

Il più conosciuto simbolo di questo mutamento è senza dubbio il Taijitu del taoismo. In esso è rappresentato l’alternanza ricorrente dei due opposti, lo Yang e lo Yin. Si tratta di due categorie simboliche, che si declinano in una coppia di opposti riflessa in ogni categoria interpretativa: bianco e nero, luce ed oscurità, giorno e notte, ma anche maschile e femminile, caldo e freddo, attivo e passivo.
I due punti all’interno di ciascuna metà stanno a significare la compenetrazione dei due principi, e la capacità dell’uno di trasformarsi nell’altro nelle rotazioni del ciclo.
In Giappone si trova un simbolo chiamato Tomoe, molto simile alle due metà che costituiscono il Taijitu. È molto diffuso nell’arte decorativa e nell’araldica, e compare in molte combinazioni, con un numero diverso di componenti; il più ricorrente è il Mitsudomoe, che combina tre Tomoe in un movimento rotatorio.

Il simbolo giapponese del Mitsudomoe
Il simbolo giapponese del Mitsudomoe

Secondo alcune interpretazioni, le tre forme del Mitsudomoe rappresenterebbero il Cielo, la Terra e l’Uomo. Questa triade ricorre anche nel Samsaeg-ui Taegeuk, una delle varianti coreane del Taijitu: il colore rosso corrisponde alla terra, il blu al cielo ed il giallo all’umanità.

Il simbolo Coreano del Samsaeg-ui Taegeuk
Il simbolo Coreano del Samsaeg-ui Taegeuk

Il Tomoe è inoltre molto simile al Magatama, un antico tipo di ornamento composto da un ciondolo in pietra o in osso che riprende la caratteristica forma a virgola. Anche in questo caso, gioielli molto simili si trovano pure in Corea, dove sono conosciuto col nome di Gogok; ma persino la preistoria del nostro continente ci ha lasciato ornamenti della stessa forma, come ad esempio quelli conservati presso il museo Museo Nazionale di Archeologia di La Valletta, sull’isola di Malta.
Non è certo possibile stabilire se tali oggetti avessero già allora un senso riconosciuto legato al divenire e all’eterno mutamento. Possiamo però, con la dovuta cautela, ritenerli come simboli in potenza, forme tracciate inconsapevolmente destinate ad assumere quel determinato significato nel momento in cui l’umanità raggiunge un dato livello di coscienza.
Una simile considerazione si può applicare ai simboli simili al Taijitu che si possono incontrare al di fuori della cultura asiatica. Tracciati molto simili ad esso compaiono ad esempio in un mosaico romano conservato presso il museo archeologico di Sousse, in Tunisia, oppure nelle insegne militari dell’esercito romano, come riportate nel manoscritto “Notitia dignitatum”.

Insegna degli armigeri defensores seniores, dal manoscritto “Notitia dignitatum et administrationum omnium tam civilium quam militarium” (copia rinascimentale dell’originale del IV sec. d.C.).
Insegna degli armigeri defensores seniores, dal manoscritto “Notitia dignitatum et administrationum omnium tam civilium quam militarium” (copia rinascimentale dell’originale del IV sec. d.C.).

È praticamente impossibile stabilire se tale diffusione sia dovuta ad uno scambio culturale, o se la forma sia nata spontaneamente in più culture indipendenti fra loro. Entrambe le ipotesi, tuttavia, dimostrerebbero la vitalità del simbolo: sia che la forma si diffonda per contagio, che nel caso di una sua ricorrenza spontanea, il suo successo testimonia che il segno è portatore di un significato importante per l’essere umano, e degno dunque di esser rappresentato.

Incisioni dal Castro de Santa Tegra, Spagna (età del Bronzo)
Incisioni dal Castro de Santa Tegra, Spagna (età del Bronzo)

L’architettura geometrica che combina rotazione e spirale si trova in una grandissima quantità di simboli diversi, dalla storia molto antica.
La triscele è un simbolo che conta un’infinità di varianti, ed una diffusione vastissima in popoli diversi e culture antichissime: dal neolitico mediterraneo fino al nord dell’Europa e all’Asia.

La forma base della triscele
La forma base della triscele

La forma più semplice è composta da tre spirali, ma è molto diffusa anche la versione con tre gambe, da cui deriva appunto il nome greco “τρισκελής”, che significa letteralmente “tre gambe”. La regione Sicilia porta tutt’ora sul suo stemma la triscele con le tre gambe, al cui centro si trova la Gorgone con tre spighe di grano.

La triscele nello stemma della regione Sicilia
La triscele nello stemma della regione Sicilia

È difficile stabilire se i tre rami della triscele rimandino a diversi elementi di una triplice alternanza, ed ogni ipotesi in tal senso rischia di diventare una rilettura moderna di un simbolo antico. È più che probabile che questi significati, laddove presenti, varino a seconda dei casi: negli ornamenti dell’architettura gotica cristiana, in cui spesso tale forma ricorre, è lecito ad esempio ricondurre i tre elementi alle tre persone della Trinità.

Un elemento ricorrente dell’architettura gotica, che riprende la geometria di base della triscele.
Un elemento ricorrente dell’architettura gotica, che riprende la geometria di base della triscele.

In altri casi si potrebbe persino supporre che i tre rami della triscele non siano per forza distinti l’uno dall’altro, e che l’enfasi sia posta semplicemente sul movimento rotatorio in sè.
La gamba, elemento base della triscele figurata, è di per sè un simbolo di movimento, di fugacità, proprio di ciò che arriva e passa. Un’interessante e diffusa variante di questo simbolo sostituisce le gambe con tre lepri, animale noto per essere veloce ed inafferrabile.

Immagine dal trattato alchemico “De microcosmo deque magno mundi mysterio, et medicina hominis” di Basilio Valentino, 1740
Immagine dal trattato alchemico “De microcosmo deque magno mundi mysterio, et medicina hominis” di Basilio Valentino, 1740

La triscele si basa sulla divisione della ruota in tre fasi, ma vi sono anche simboli analoghi basati su quattro settori: d’altronde entrambi i numeri si iscrivono nel dodici, che è la cifra dal simbolismo più pertinente alla ruota.

Dracma in argento di Yolamira, India (II sec. d.C.)
Dracma in argento di Yolamira, India (II sec. d.C.)

Abbiamo già incontrato la svastica, simbolo dalle mille varianti storiche che ha conosciuto un enorme successo diffondendosi in ogni parte del globo, prima di venir associata al nazismo dopo i fatti del XX secolo. Pur essendo importante, la connessione con il simbolismo solare non è l’unica determinante della svastica, ed è possibile che in alcuni contesti essa sia stata riferita più in generale alla ruota del divenire, un segno astratto di quel continuo mutamento che si riflette su ogni piano dell’esistenza.

Pietre incise pittiche a Meigle, Scozia (VIII - IX sec. d.C.)
Pietre incise pittiche a Meigle, Scozia (VIII – IX sec. d.C.)

Una diffusa teoria identifica la svastica destrogira come un simbolo portafortuna, vedendo di contro il suo omologo simmetrico come un simbolo “distruttivo” o “negativo”. Il fatto che spesso questa variante “sfortunata” venga comunque rappresentato dimostra che tale interpretazione perlomeno non è universale e valida per ogni ambito storico in cui la svastica ricorre. Pur avendo validità ridotta, quest’ambivalenza dimostra chiaramente i due volti del divenire, che è al tempo stesso creazione e distruzione, vita e morte.
La svastica è stata ampiamente adottata dai movimenti neopagani europei. In certi casi ciò è inteso come un ritorno all’antico simbolismo precristiano, svincolandosi dichiaratamente dalla moderna connessione col nazionalsocialismo; in altre circostanze invece vale l’opposto, per cui la svastica viene ostentata come un’affiliazione al nazismo, noto peraltro per la sua opposizione al cristianesimo.
Sempre negli ambiti neopagani troviamo interessanti varianti della svastica, come il Kolovrat, simbolo del neopaganesimo slavo, la cui struttura grafica deriva dalla doppia svastica.

Il Kolovrat, simbolo del neopaganesimo slavo
Il Kolovrat, simbolo del neopaganesimo slavo

È interessante notare che “Kolo” nelle lingue slave significa proprio ruota, a sottolineare la particolare attenzione che questa nuova spiritualità riserva ai cicli naturali e cosmici.
L’aspetto trasmutativo della ruota compare chiaramente in un simbolo Adinkra dell’Africa occidentale, chiamato Sesa Wo Suban, che significa “trasformare la propria vita”.

Sesa Wo Suban, simbolo Adinkra dell’Africa occidentale
Sesa Wo Suban, simbolo Adinkra dell’Africa occidentale

È ben riconoscibile la ruota esterna; la stella a cinque punte è la stella del mattino, che segna dunque il momento di transizione dalla notte al giorno, fra il buio e la luce.
Il poeta William Blake disse che “L’eternità è innamorata dei prodotti del tempo” . Il giro completo della ruota segna la completezza del ciclo, ed è quindi un’immagine in movimento dell’eternità, intesa come pienezza dei tempi.
Una simile accezione traspare in un simbolo rotatorio armeno, chiamato Arevakhach.

L’arevakhach nel dettaglio di un monumento a Shamshadin, Armenia (XX sec.)
L’arevakhach nel dettaglio di un monumento a Shamshadin, Armenia (XX sec.)

È notevole la somiglianza formale del simbolo di eternità armeno con il fiore, che all’opposto simboleggia la transitorietà più fugace: bellezza che dura un attimo, per poi svanire. Proprio in questa apparente contraddizione sta però il profondo significato che lega il centro e la circonferenza della ruota. Ricorriamo ancora alle poesie di Blake, che ci insegna come si possa “Vedere un mondo in un grano di sabbia e il paradiso in un fiore di campo, stringere l’infinito nel palmo della mano e l’eternita’ in un’ora.
Forse il più affascinante fra i simboli del divenire è l’Ouroboros, il serpente che si morde la coda. La sua storia è antichissima, e lo si incontra già nell’antico Egitto.

Gemma gnostica proveniente dall’Egitto, ed ora conservata al Walters Art Museum di Baltimora (I sec. d.C.)
Gemma gnostica proveniente dall’Egitto, ed ora conservata al Walters Art Museum di Baltimora (I sec. d.C.)

Orapollo, sapiente egiziano del V secolo d.C, lo descrive così nella sua opera “Hieroglyphiká”:
Quando vogliono scrivere il Mondo, pingono un Serpente che divora la sua coda, figurato di varie squame, per le quali figurano le Stelle del Mondo. Certamente questo animale è molto grave per la grandezza, si come la terra, è ancora sdruccioloso, perché è simile all’acqua: e muta ogn’anno insieme con la vecchiezza la pelle. Per la qual cosa il tempo faccendo ogn’anno mutamento nel mondo, diviene giovane. Ma perché adopra il suo corpo per il cibo, questo significa tutte le cose, le quali per divina providenza son generate nel Mondo, dovere ritornare in quel medesimo.
La vita divora sè stessa, ed anche il cosmo muore e rinasce in sè stesso, distruggendosi e ricreandosi in ogni singolo istante.
L’Ouroboros si diffuse con diverse varianti nell’area di influenza ellenistica, e da lì nell’Europa dei secoli successivi; tutt’ora rimane un simbolo ben conosciuto ed utilizzato.
L’immagine ha un’intensa forza espressiva, che testimonia una corrispondente predisposizione associativa nell’immaginazione umana; non è dunque da escludere che nel corso dei millenni alcuni artisti abbiano reinventato autonomamente forme simili, come dimostrano ad esempio i draghi circolari in giada diffusi nell’arte antica cinese.

Drago in giada, dinastia Zhou, Cina (1110-1000 a.C.)
Drago in giada, dinastia Zhou, Cina (1110-1000 a.C.)

Un altro simbolo orientale simile all’ouroboros tanto nella forma che nel significato è l’Ensō della calligrafia giapponese.

18 enso

Si tratta di un cerchio disegnato con un solo colpo di pennello: una forma semplice, ma difficilissima da tracciare alla perfezione. È notevole come l’attacco del tratto ricordi una testa, e la chiusura l’assottigliamento della coda.

Emblema tratto da “A Collection of Emblems, Ancient and Modern” di George Wither (1635)
Emblema tratto da “A Collection of Emblems, Ancient and Modern” di George Wither (1635)

L’Ouroboros ricorre con frequenza nei libri di emblemi del XVI e XVII secolo. È nell’iconografia alchemica che il simbolo assume però un ruolo principale.

Illustrazione dal “Libro di Lambspring”, nella versione della raccolta di testi alchemici “Musaeum Hermeticum” (1625)
Illustrazione dal “Libro di Lambspring”, nella versione della raccolta di testi alchemici “Musaeum Hermeticum” (1625)

L’alchimia è una dottrina complessa, e presenta una notevole diversità interna a seconda dell’epoca e delle correnti di riferimento. A seconda dell’autore, lo stesso simbolo alchemico può indicare una concreta operazione materiale, oppure un’allegoria spirituale, o ancora entrambe le cose.

21 2 ouroborus abraham eleazar

In alcuni trattati alchemici l’ouroboros nasconde indicazioni operative, vere e proprie procedure di laboratorio. Persino negli autori meno speculativi, tuttavia, i simboli conservano sempre una coerenza di base, ed anche l’ouroboros mantiene sempre il significato di alternanza ciclica, il continuo divenire che è proprio della ruota. Ciò è particolarmente evidente nella forma doppia dell’Ouroboros, composta da due serpenti diversi, uno alato ed uno senz’ali. Proprio come nel Taijitu, le polarità opposte si rincorrono divorandosi, trasformandosi così l’una nell’altra in un ciclo eterno: dal volatile e grossolano, dalla materia allo spirito, dal buio alla luce e dalla luce al buio.Molti alchimisti hanno sottolineato la natura circolare della Grande Opera; la ruota compare esplicitamente in un trattato del XVII secolo intitolato “Speculum Veritatis”, con otto settori corrispondenti ad altrettante fasi dell’Opera.

Illustrazione dal trattato alchemico “Speculum Veritatis” (XVII sec.)

 

11. Il vortice della creazione

La ruota, considerata in quanto oggetto, è una creazione esclusivamente umana: in natura non se ne trovano, e fra le tante soluzioni anatomiche diverse che esistono per l’ambulazione nessuna sfrutta il principio del cerchio che gira attorno ad un fulcro. Eppure, come abbiamo visto, il movimento rotatorio è ampiamente presente in natura.

La ruota delle stelle in una fotografia a lunghissimo tempo di esposizione, scattata nell’emisfero sud dalle Ande cilene. Foto dell’European Southern Observatory (ESO).
La ruota delle stelle in una fotografia a lunghissimo tempo di esposizione, scattata nell’emisfero sud dalle Ande cilene. Foto dell’European Southern Observatory (ESO).

Viste dalla Terra, le stelle durante la notte ruotano facendo fulcro sui poli celesti; e persino i poli stessi ruotano lentamente nel cerchio della precessione.
La rotazione delle massime sfere sembra trasferirsi, come un’impronta, anche agli aspetti più terreni del cosmo.
Il pianeta Terra ruota attorno al Sole, determinando il ciclo delle stagioni, che si riflette nei cicli vitali sia delle piante che degli animali. Similmente, la rotazione sul proprio asse della Terra determina l’alternarsi del giorno e della notte, che si trasferisce al corpo ed alla psiche dell’uomo nel ciclo circadiano di veglia e di sonno.
La rotazione della Terra, però, si trasmette anche in altri fenomeni che non hanno a che fare con la ruota cronologica.
La rotazione del globo terrestre provoca quello che è conosciuto come “effetto Coriolis”, un fenomeno che influisce su venti, tempeste e correnti oceaniche, imprimendo loro un moto in cui si fondono la spirale e la ruota.
Questa forma ricorre in moltissimi aspetti della natura, tanto da renderla un archetipo geometrico dell’esistenza stessa.

L’uragano Katrina visto dallo spazio, il 28 agosto 2005
L’uragano Katrina visto dallo spazio, il 28 agosto 2005

La spirale delle conchiglie dei molluschi, l’avviluppo dei viticci di una pianta, la disposizione dell’infiorescenza del girasole, o persino le smisurate galassie: tutto reca l’impronta della rotazione, un vortice che sembra essere una delle forme di base del cosmo e della vita.

La galassia Messier 101, nota come Galassia Girandola
La galassia Messier 101, nota come Galassia Girandola

Oltre alla spirale, la natura presenta numerosi fenomeni, che pur non essendo ruote nel senso stretto del termine, sono imprescindibili per la comprensione del simbolismo rotatorio.
Il più noto di essi è senza dubbio il ciclo dell’acqua. Dalle sorgenti nasce un piccolo ruscello, che dopo una corsa impetuosa si assesta diventando un fiume dal flusso lento e maestoso, fino a sfociare nel mare. Da lì l’acqua ritorna all’origine, evaporando fino a formare le nubi, che scaricandosi in pioggia alimentano le sorgenti. Questa descrizione, ovviamente, è una semplificazione del fenomeno naturale, che presenta dettagli di ben più elevata complessità; quel che ora importa però è evidenziare l’assonanza simbolica di questo ciclo con quello della vita: l’acqua che sgorga dalla terra è l’immagine del parto, e il ruscello è l’energia della gioventù che pian piano trova l’autocontrollo nella maturità. Sfociare nel mare è quindi un’immagine della morte, e l’evaporazione porta l’acqua nel cielo, proprio dove moltissime mitologie suppongono risiedano le anime dei defunti. Infine, il ciclo si chiude: la pioggia riporta l’acqua all’origine, e la nuova nascita è anche la reincarnazione di un’anima che è già vissuta.

Il “Fiat Lux”, immagine da “Utriusque Cosmi, maiores scilicet et minores, metaphysica, physica atque technica Historia” di Robert Fludd (1617)
Il “Fiat Lux”, immagine da “Utriusque Cosmi, maiores scilicet et minores, metaphysica, physica atque technica Historia” di Robert Fludd (1617)

Il moto vorticoso insito nella natura si intravede anche nel simbolismo della creazione: spesso la genesi viene dipinta come un atto rotatorio, quasi come se Dio creasse un vortice nella calma delle oscure acque primordiali.

5 walters immagini della bibbia

Nel Corpus Hermeticum, la creazione viene descritta così: “L’intelletto demiurgo unito al Logos, abbracciando i cerchi e imprimendo loro il movimento con stridore, fece ruotare le sue creature con un movimento che ha un inizio indeterminato e un termine senza fine, infatti inizia dove termina. La rotazione di questi cerchi fece nascere dagli elementi inferiori alcuni animali privi di ragione (poichè gli elementi inferiori non avevano più il Logos in se stessi); l’aria generò i volatili, l’acqua gli animali che nuotano; la terra e l’acqua erano separate per volere di Dio, e la terra generò dal suo seno gli animali, che aveva in sè: i quadrupedi, i rettili, le bestie selvagge e quelle domestiche.(Poimandres, I,XI)